lunedì 24 marzo 2008

io e i miei sandali

In una serata umida piovosa e limpida io decisi in connubio con lei di togliermi i sandali e tornare alle scarpe chiuse

In una serata di aria umida piovosa e limpida (che poi si abbirsò verso le sette, cioè, dopo che fece buio, cioè smise di piovere e restò l’aria limpida e pulita dalla pioggia caduta per quasi tutto il giorno e un po’ della sera prima) io decisi in connubio con lei di togliermi i sandali e tornare alle scarpe chiuse. Certo, a me fossero (lo so che si dice sarebbe ro ma nella mia lingua si dice “fussiru”) piaciute (raccontare) le storie successe prima di arrivare a dire queste quattro parole (“tornare alle scarpe chiuse”).Ma da dove incomincio? Non lo so da dove comincio, quindi non comincio. Certo, alla base di questo racconto c’è una voglia di riscatto: chi lo doveva dire che una donna che viene dalla terra dei sandali per eccellenza, mi doveva fare pressione (e impressione?) tanto da convincermi a comprare un paio di scarpe chiuse a fine marzo, a Roma! Io che c’ero venuto in una notte bianca piovosa di settembre coi sandali neri e lucidi che mia sorella mi aveva comprato per il suo matrimonio per evitare che spuntavo con un paio di sandali controproducenti! Ma di quella notte bianca a Roma ho raccontato per filo e per segno in un racconto che si chiama Sabir e che Mauro Mì ha pubblicato sul suo sito, che quello mi pubblica tutti i racconti che gli mando, a scatola chiusa, manco se lo fa dire due volte. Ecolo!, come direbbero i ragazzi romanostiensi che frequento ultimamente e con cui coabito. Eccoli lì, Mauro Mì! Qualche minuto fa non è che me lo vedo spuntare - il suo nome, non lui in carne ed ossa - in uno di questi barlibreria vicino Piazza Vittorio, a Roma, dove paghi dodici euro un tè e un bicchirinu di vinu, ma ti mozzichi li palli ppi nunnaviriti pigliatu (compreso nel prezzo!) un libru di deci euro dove avevi trovato il racconto di Mauro Mì. Senza sapiri nnè cchì nnè ccumu. Un racconto che parla di come ci si rovina la vita per il pallone! Scritto da Mauro Mì, che scopro, leggendo il racconto, che da “piccolo” tifava Catanzaro! Bivi, Palanca…(io comunque Palanca me lo ricordo particolarmente, e anche Massimo Mauro mi ricordo!) E scopro altre cose di Mauro Mì, ma soprattutto stu racconto mi fa viniri voglia di scrivere anche a me ca avi assai can un mi dedico a questo tipo di svago. Ma pirchì Mauro Mì mi fa pinzari ai sandali? Forsi perché giorni fa, mentre giravo nel suo sito e vedevo i miei racconti pubblicati, ho trovato una sua introduzione a un racconto che comincia tipo così: “A.M. è uno che cammina coi sandali anche d’inverno…”. Ora, per farla breve, che forse mi sto incartando, volevo scrivere un racconto di uno che si innamora dei sandali e però, dopo aver attraversato valli e campi, mari e monti (ti u rricurdi di quannu cuglisti aranci a metà dicembre vicino Castelbuono di Sicilia? A pedi nudi? Pirchì li stivali di gomma ti soffocavano i piedi? E all’inizio ti pariva stranu e poi ti ci abituasti e ti pariva normale affunnari li pidi nni la terra nuda e scura di li Madonii?Ti ricordi di quannu in Val di Susa, un mese dopo la raccolta degli aranci, coi sandali e i pedi nudi passeggiavi con la neve sotto i piedi e i pedi caudi? Ti ricordi a febbraio a Enna i primi passi coi sandali e i calzettoni? CA Pino D. ti diceva “Io non mi sento di contestarti perché tra vent’anni i dduttura nni diranno ca usare i sandali d’inverno fa bene”? Ma il fatto è che i sandali e i pedi nudi, nni ricordanu chiddu ca simmu, e chiddu ca simmu, iè nenti ccu nenti, nuddu ammiscatu ccu nenti, puvirtà, miseria, cinniri…E si tu usi a pelliccia di visone in Sicilia ca u suli spacca li petri, un ti dici nuddu nenti, mmeci si usi i sandali ti talianu cumu fossitu…Nenti ammiscatu ccu nenti, e si scandanu, si scandanu di chiddu ca su, ca simmu…

Fra vint’anni poi macari ti vinu a cercanu, e tu ci cunterai di i beddi timpi! Di quannu ti mintivatu i sandali d’inverno. E di quella sera che una donna venuta dalla terra dei sandali ti convinse a “passare” alle scarpe chiuse a fine marzo, che a Roma pioveva come in quella notte bianca di settembre, e ci conterai di com’eri contento tu (contenti tutti!) ca parivatu un “milanese in vacanza”, come ti diceva la donna all’uscita del negozio dove tu ti eri accattato a dieci euri le “superga” modello storico (cioè quelle allungate e strette con la punta tipu ballerina!), un negozio pseudocinese gestito da italiani anzi romani che ci sono più commesse/vigilantes che commesse addette alla vendita…In Piazza Vittorio. E tu ora ccu ste scarpe chiuse senti ca i tuoi piedi sono diversi, ti senti più serio, più credibile, ti senti “un altro!”. Quant’è bella l’amicizia delle donne che vengono dalla terra dei sandali e ti convincono a toglierti i sandali! Ora sì che sono un uomo vero! Anche se mi manca qualcosa, un debito con me stesso: ddu minchia di libbro col racconto di Mauro Mì….Quello “compreso nel prezzo” (12 euri un bicchirinu di vinu e na caraffa di thè verde!), devo andarlo a “ritirare”, quanto è vero Ddio!

Antonio Strano

1 commento:

Unknown ha detto...

Bel racconto... Ma ci manca na parti, di quannu mi telefonasti ca erutu a Barcellona pi dicirimi di livariti i sannili do sacchettu di plastica picchi sennò ammuffavunu :D