lunedì 15 dicembre 2008

nottefreddaefondaalyonedintorni

Nottefredda e fonda a Lyon e dintorni. Fuochi nell'Europa decadente
fuochi nell'Europa indipendente
dalla grecia alla spagna
pasando per l'Italia
fuochi fatui e fuochi innocui
fuochi vibranti, fuochi suadenti
fuochi nell'anima e nel corpo
fuochi mistici e insurrezionali
fuochi marginali
fuochi irredimibili
incomprensibili
immarcescibili
fuochi
fuoco
fuego
anarchia

mercoledì 26 novembre 2008

nullaesiste

nulla esiste al di fuori del nulla: neanche il suicidio e lo scetticismo, neanche la vertigine, tutto é vuot, anche il vuoto, se no che vuoto sarebbe? CioranLeopardoangeloshow

martedì 11 novembre 2008

autoriduzion italiane di cui nel post precedente

1970
Autoriduzioni italiane

Il movimento delle occupazioni delle case
e
Gli espropri (o: le autoriduzioni politiche)






Due capitoli estratti da: Le autoriduzioni, Christian Bourgois, Paris, 1976, épuisé


Il movimento delle occupazioni delle case


Se il movimento delle autoriduzioni ha potuto svilupparsi in modo cosi diffuso, é perché esiteva in Italia un movimento di lotta nelle fabbriche particolarmente forte e resistente. Ma anche perché a differenza dell'Inghilterra, dove gli operai rimangono spesso rinchiusi nell'ambito dell'impresa, au shop floor, i conflitti in Italia fuoriescono dalle fabbriche. E investono il terreno sociale grazie alla forza che hanno acquisito nelle fabbriche, riprendendo tutte le contraddizioni della società capitaliste, riportandole nelle fabbriche per rilanciare il conflitto. I consigli di fabbrica sono serviti direttamente per esempio durante le autoriduzioni au rassemblement (mettere insieme, organizzare?) le sospensioni della corrente elettrica (des quittances d'électricité?), forse intende dire le espropriazioni, cioé l'utilizzo gratutito della corrente elettrica?

Ma, prima de arrivare all'autoriduzione, i proletari hanno fatto percorso un lungo ciclo di lotte sul terreno sociale. I comitati di quartiere che hanno spinto verso l'autoriduzione si sono costruiti a partire dal 1969. La questione della casa ha permesso questa socializzazione – questa massificazione – delle lotte, come dicono gli italiani. A luglio, Nichelino, comune della periferia industriale di Torino, era stat occupata, gli operai si rifiutano di pagare gliaffitti. Un anno dopo, in Via Tibaldi a Milano, proletari se studenti occupano alcuni appartamenti liberi. Nel 1974, al riento delle vacanze, nel momento in cui iniziano le lotte per l'autoriduzione dei trasporti e dell'elettricità, decine di famiglie occupano alcuni appartamenti e case in Via delle Cacce a Torino, in uno dei ghetti dove alloggiano gli operai di Mirafiori Sud. Il movimento riuscirà a coinvolgere seicento familgie nell'occupazione. Non si era mai visto a Torino un movimento di occupazioni cosi vasto. Ma la città in cui si manifesta in modo più vasto é Roma. Anche qui le occupazioni dei case hanno provocato a scontri con la polizia tra i più violenti, particolarmente nei quartieri di San Basilio1

ROMA: UNA LUNGA TRADIZIONE DI LOTTA

Le lotte per la questione della casa risalgono a Roma all'immediato dopo guerra. Durante queste operazioni (operations, non so come tradurre, non capisco bene se si riferisce alle lotte per la casa di cui prima) ci fu un afflusso di proletarii provenienti dal Lazio meridionale e dall'Italia del sud. Erano in maggioranza « lavoratori intermittenti » (provissori, giornalieri?) destinati a bassi salari. Ma una legge fascista rimasta in vigore2 impediva agli immigrati l'accesso nel centro storico. E' qui che si sono installati delle case improvvisate, centri di ospitalità municipali, antesignani delle città dormitorio. Durante il periodo successivo, quello della « ricostruzione nazionale », é il PCI che organizza le lotte di massa, gli scioperi generali che paralizzano tutta la città. L'obiettivo é il lavoro e la costruzione di case per i lavoratori. A volte, persino i disoccupati organizzati dai militanti del Partito prendono in carico la costruzione di strade, fognature, sbarazzano les gravats (?). Questa forma di lotta é teorizzata come un esempio di « autogestione » suscettibile di formare gli « agenti sociali capaci di dirigere il lavoro e di controllarlo ». la linea politica del PCI é quindi chiara: in una città come Roma, dominata storicamente par les couches moyenne (i ceti medi?) delle amministrazioni e dal fascismo, e in assenza di una classe operaria veramente importante, bisogna puntare (miser?) sulle periferie, sui « marginali » (o emarginati?), sui lavoratori temporanei, se si vuole costruire un peso politico capace di controbilanciare la destra. Malgrado la precarietà del lavoro, e la presenza di un sottoproletariato, la periferia romana diventerà una fortezza rossa impermeabile alle infiltrazioni di destra. Realtà che si manifesterà elettoralmente ma anche attraverso duri scontri fisici durante le manifestazioni di piazza. La popolazione di questa cintura “rossa” é soprattutto costituita da operai edili, dalle rare industrie esistenti, dai disoccupati, dai piccoli artigiani cacciati nelle periferie nel periodo dello “sventramento” del centro storico. Gli scontri con la Polizia sono violenti, come testimonia lo sciopero generale del dicembre 1947 durante il quale la polizia non esita a sparare sui manifestanti, uccidendo un operaio edile disoccupato.

La mancata insurrezione in seguito all’attentato mancato di Togliatti, segretario del PCI, segna l’inizio di un riflusso progressivo che porterà ai defaits grandi fabbriche del Nord verso il 1955. Il ruolo di organizzatore del PCI va decrescendo. Gli scioperi generali contro la disoccupazione e per il miglioramento dei servizi non riescono più a paralizzare la capitale. Roma accentua durante questi anni il suo carattere di città prevalentemente terziaria (amministrazioni centrali, servizi pubblici, commercio); il settore industriale di riduce all’edilizia e a piccole fabbriche. Parallelamente, la capitale diventa un luogo di passaggio della mano d’opera che dal sud va verso il Nord, e soprattutto un polo d’immigrazione regionale ed extraregionale. L’urbanizzazione selvaggia si sviluppa; iniziano ad apparire le bidonvilles e la speculazione immobiliare fa i primi passi con successo. Nello stesso tempo che allaccia legami con chi organizza le lotte, il PCI comincia a delineare la sua strategia di una “via parlamentare verso il socialismo” (o al socialismo); comincia a porsi il problema dell’ambiente urbano e dell’organizzazione dello spazio sociale. Studia la questione della rendita fondiaria e scopre (découvre dans l’oligopole) nell’oligopolio il latifundium urbano (specialmente la Santa Sede che fa la parte del leone). Il problema della casa si trova quindi subordinato alla questione dello sviluppo urbano equilibrato, anch’esso legato a una lotta d’insieme contro la rendita fondiaria. Secondo una logica tutta riformista che separa nel processo di accumulazione rendita e profitto, pertanto connessi, la rendita é allora interpretata come il freno parassitario allo sviluppo della città, del paese, e come sola responsabile delle poches d’arriéation. Il PCI inizia allora la battaglia a livello comunale e parlamentare controla concentrazione della grande proprietà, contro i latifundia urbani considerati responsabili della penuria delle case. E’ in questo contesto che tenterà di canalizzare il movimento popolare ancora forte nelle periferie. Nel 1950-51 si realizzano le prime grandi occupazioni di case nei quartieri di Primavalle, Laurentino, Pietralata. Le Consulte popolari create in questo periodo sono organizzazioni di massa unitarie del PCI-PSI. Riuniscono diverse associazioni e comitati che si occupano della questione della casa. In una prima fase, la loro componente locale di base é prevalentemente proletaria. A livello centrale, vi si trovano piuttosto i quadri politici del PCI (consiglieri municipali, parlamentari). L’obiettivo (axe?) principale é quello di ottenere il blocco degli affitti ou davantage degli investimenti nel settore dell’edilizia pubblica. Con ben poco successo perché dal ’51 al ’55, la percentuale dell’aiuto pubblico crolla dal 25% al 12% del totale. Le Cosnulte popolari intervengono inoltre presso le autorità locali per risolvere i problemi più urgenti (evacuazione degli appartamenti pericolosi, attribuzione degli alloggi ai familiari espulsi, ecc.). Le forme delle lotte sono più spesso manifestazioni, delegazioni, petizioni che servono da sfogo ( sbocco?, il termine fr. é : de débouchés) alle occupazioni spontanee che si moltiplicano verso il 1955, data alla quale le Consulte le organizzano direttamente per la prima volta. Quasi tutte le occupazioni di quest’epoca sono dirette contro l’Istituto per la Costruzione Economica e Popolare (IACP). Gli alloggi costruiti da questo organismo pubblico, jouxtent prevalentemente i quartieri dell’epoca fascista. Principalmente i quartieri Goridinai, Tiburtino III, San Basilio, Primavalle, Tor Marancio. Queste zone popolari ospitano i proletari ammassati in condizioni sanitarie e igieniche infettive; clientelismo e corruzione vont bon train (vanno di pari passo?). E’ cosi che le iscrizioni sulle liste d’attesa per beneficiare di un alloggio dipendono totalmente dai partiti del centro e della Democrazia cristiana. Le occupazioni organizzate dalle Consulte non sono concepite come azioni di appropriazione, ma come forme di pressione sui poteri pubblici: il problema della loro difesa, dunque, non si pone. La città e la sua dirigenza amministrativa (potrebbe andare bene anche “amministrazione”?) non sono visti come nemici bensi’ come alleati contro la speculazione. Quasi sempre queste occupazioni si concludono con un intervento violento della polizia che sgombera tutti e con una manifestazione di protesta davanti il Campidoglio, dove sono richiesti (exigés) des credits per consentire ai poteri pubblici di ntervenire . A San basilio e a Pietralata pero’, capita che il rapporto di forza sia favorevole agli occupanti e che la lotta riesce. Le Consulte organizzano in questo periodo anche uno sciopero degli affitti: i termini échus non vengono pagati ai poteri pubblici per obbligarli a migliorare o a creare servizi (scuole, strade, fognature). Durante tutto questo periodo, il PCI riesce infatti a offrire uno sbocco parlamentare a queste lotte. Pertanto, nel 1956, l’esperienza del centrosinistra e la Legge Sullo contro la speculazione fondiaria échouent (falliscono). La linea del partito allora oscilla tra proposte tecnocratiche (contropoposte, critica degli organismi esistenti) e interventi populisti e demagogici sule situazioni di abuso fra le più eclatanti (criantes?) attorno alle quali fioriscono tavole rotonde e petizioni. Ma nessuna offensiva seria viene promossa per appoggiare un intervento legislativo mirante a riformare la politica urbanistica. Le Consulte cambiano progressivamente la loro natura: iniziano a riunire “tutti i cittadini” che si interessano alla questione dela casa, dei servizi, dei trasporti, dei parchi. Perdono la loro connotazione di classe. Le lotte che vanno avanti prendono una piega “civile”. Si verificano ancora blocchi di strade e di pazze, come quando le famiglie sgomberate dagli alloggi demoliti per la costruzione delle istalazioni olimpiche manifetsano nel 1958. Quialche sciopero di pagamento degli affitti come quello di Grottaperfetta (forse Grotaferrata?) nel 1964. Ma queste lotte hanno perduto la loro incisività e, a partire dal 1969, non si registrano più manifestazioni interessanti in tal senso. Nel corso degli anni ’60, parallelamente alla trasformazione dell’apparato produttivo e all’accentuazione dei flussi migratori, la penuria degli alloggi a basso costo di affitto diventa il problema principale. La manomorta del grande capitale finanziario sui terreni da costruire continua alla grande, mentre la parte degli investimenti pubblici nel settore dello IACP passa da 16,8% per tutto il paese nel 1960 a 6,5% nel 1965, e a 7% nel 1968, 5,1% nel 1969 e 3,7% nel 1970! Roma che é diventata la città cerniera tra il Sud e il triangolo industriale del Nord si espande smisuratamente. Il resto del azio si svuota disgrega, mentre la lontana perfieria sud ovest verso Latina, Pomezia Aprilia, si congestiona completamante. La costruzione privata si orienta verso le case de “standing”; l’aumento degli affitti diventa vertiginoso e accresce la speculazione a sua volta.

Con il fallimento della sua lotta contro la rendita fondiaria, la politica del PCI si ripiega sulla domanda di un riequilibrio dei poteri pubblici. Dopo il 1964-’65, il PCI non parla più di una “politica urbanistica”; la sola politica coerente é quella che viene condotta per la bonifica delle periferie (canalizzazione delle fogne e loro ricopertura ecc.). Per il resto, la lotta é abbandonata a un livello settoriale e sono gli organismi di massa interclassiste che la conducono in modo sindacale. E’ in questo periodo che si forma l’UNIA (Unione Nazionale Inquilini e Assegnatari) che da consigli giuridici ai cittadini en butte ai proprietari. Le iniziative si limitano a delle petizioni, a delle manifestazioni per fare pressione sul Comune, sullo IACP, e ottenere la resorption delle bidonvilles, cosi che l’aumento degli alloggi popolari.

1969-75: UN NUOVO CICLO DI LOTTE URBANE

Nel 1969 iniziano a manifestarsi alcune tensioni accumulate negli anni precedenti. A Roma, 70 000 proletari relegati nei ghetti e in condizioni catastrofiche, si trovano di fronte a un panorama che presenta edifici abitativi con 40 000 appartamenti vuoti che non trovano acquirenti o affittuari perché troppo cari. L'Associazione degli imprenditori dell'edilizia romana riconosce che si tratta ormai di una “fetta di mano d'opera indispensabile”. Il clima politico generale creato dalle lotte operaie e studentesche esercita una grande influenza nello scatenamento di un nuovo tipo di azioni: non si tratta più di un'occupazione simbolica che cerve da mezzo di espressione supplementare nell'ottica di una negoziazione al vertice. Quest'ultima viene rifiutata e le occupazioni prendono la forma di espropri violenti che traducono confusamente la volontà dei proletari di riprendere i beni necessari a soddisfare i loro bisogni. Queste lotte hanno come conseguenza quella di demystifier (demistificare) lo Stato che era presente come “mediatore” nella prestazione e garanzia dei servizi per tutti i cittadini. Esse puntano il dito sulla natura classista dello Stato e dell'amministrazione comunale, e concretizzano un'estensione diretta della lotta della fabbrica verso la società. Questa volontà esplicitata di s'emparer (impossessarsi?) delle case senza aspettare il beneplacito dei padroni, né gli investimenti che seguono i dettami (les avatars?) del profitto, segna una “socializzazione” della lotta, cioé una difesa e un recupero del salario reale. Manca, certamente, a questo prime occupazioni di un nuovo tipo una partecipazione diretta degli operai della fabbrica in quanto tali. Pertanto, esse apporteranno un altro elemento, che le lotte operaie ancora non hanno: quello di un'organizzazione autonoma della lotta. Le occupazioni spontanee raduneranno un gruppo di militanti del PCI, del PSIUP (equivalente allora del PSU) e dei cattolici di sinistra che formeranno la prima forma di sostegno organizzato di queste lotte. Dopo l'intervento della polizia e l'evacuazione degli appartamenti, 120 altri alloggi vicini vengono occupati immediatamente nel quartiere Celio. Si arriva alla cifra di 400 nei giorni seguenti. Per scelta deliberata, gli appartamenti appartengono tutti ai poteri pubblici, ma sono abbandonati e liberi da chissà quanto tempo. Questa soluzione offre in effetti migliori possibilità di successo e mette i bastoni fra le ruote alle operazioni dello IACP intraprese con la complicità tacita dei rappresentanti sindacali che siedono al suo interno.

venerdì 7 novembre 2008

autoriduzioni italiane fino agli anni '70

per chi volesse collaborare alla traduzione del testo autoriduzioni italiane fino agli anni '70, puo' contattare seditionsgraphiques@gmail.com, per vaere il testo integrale, e se vuole leggere la prima parte che ho già tradotto...fra qualche giorno la troverà su questo blog, angelo

mercoledì 5 novembre 2008

journaldevoyage5novembre2008

Journaldevoyagemarseille5novembre2008

Mi piglia male scrivere al computer, troppa luce e scomodità di posizione anche se in fondo va bene cosi, seduto per terra e gambe piegate sbilenche ma zen, canzone dei CCCP, tipo che il titolo é BB. Sta mattina Celine si é svegliata chiedendomi se aveva vinto Obama o Mc Cain. Io stavo andando in bagno e pensavo che parlasse al telefonino con qualcuno, poi ho guardato verso il suo letto e non aveva in mano un telefonino, allora ho detto « ma parli con me ? », e poi ho guardato su Internet : Obama aveva vinto. Ho letto ad alta voce due articoli di Le monde a Celine, ci siamo scambiati un po di commenti, poi abbiamo visto un video via Internet. Alla fine della giornata, verso le sette di sera, ero andato in bicicletta verso una libreria per « recuperare » un libro, ma la libreria era chiusa, allora, mi sono fermato a guardare il corteo dei Kurdi che cantavano e inneggiavano a Ocalan ! Quanti ricordi ! 1998, 1999, 2000….Milano, Capodarco di Fermo, Pietraperzia, Perugia, Assisi, Catania…

E ora basta, non ce la faccio più. Giornata piena oggi, ricca : i ritratti con la polonaise, cioé Martha, che ho incontrato ieri alla libreria caffé letterario radical chic La passerelle, e oggi mi ha presentato la sua bella amica e coinquilina e compaesana e connazionale Emilia (hanno nomi e cognomi italiani sti polacchi, ma com’mai ?, Martha di cognome fa Safarra, o juste comme ça !). Ho trascorso il mio primo pomeriggio con lei che faceva da apprendista. Ieri pomeriggio quando le ho chiesto se le potevo fare un ritratto mi ha detto che anche lei voleva fare come me, perché studia beux arts a Cracovia, e quindi…Oggi mi é venuta dietro. Ne ha fatti due molto blli, uno pagato bene, cioé nove euro, uno rifiutato. Adesso abbandonerei il campo perché sono troppo fatigué, un gna a faccio più, je veux mourir, je n’en peux plus, rien ne va plus, a nablus, bonnuit

domenica 2 novembre 2008

le travail fantome en france

III. Le travail fantôme des chercheurs de travail

Selon le reporting de la dernière info-coll des ERD, le représentant impétrant de la DAGEMO a saisi le SCRE du cas d’une conseillère lambda ANPE qui, après un entretien flash dans le BEC, a papé une DE dont l’ARAF était incrémentée d’une ARE, négligeant de procéder à une GL de sa toponymie dans une des listes ; l’agent a ordonné la re-critérisation de la fiche de ladite fonctionnaire. Pour sa défense, la conseillère dont l’écart venait d’être diagnostiqué, donnant pour preuve de sa pro-activité l’enregistrement de ses derniers entretiens BMO, a fait valoir que la durée de la fenêtre de tir ne permet guère un suivi personnel de tous les cas en reprise de stock .
Pierre Bourbaki

Moi aussi, j’attends de revenir… J’erre dans l’Hadès du chômage, tapi dans ce que Kundera appelle la « pénombre de dépersonnalisation ». Car il est exilé, banni, excommunié, celui qui pointe à l’ANPE. En entrant dans l’antimonde des demandeurs d’emploi, son identité se défait, se morcelle. Il devient une âme morte parmi les vivants.
Jean-Louis Cianni, La Philosophie comme remède au chômage, p. 55



Petit lexique de l’ « Harmonisation des Pratiques » .

Reporting : rapport
info-coll : « information collective », réunion de représentants des agences et des
chômeurs
ERD : Équipes Régionales de Direction
DAGEMO : Direction de l’Administration Générale et de la Modernisation du Ministère de
l’Emploi et de la Solidarité
SCRE : Service de Contrôle de la Recherche d’Emploi, véritable police des chômeurs
critériser une fiche : remplir une fiche
ANPE : Agence Nationale Pour l’Emploi
entretien flash : entretien dont la durée reflète le slogan « savoir mieux gérer son temps » ;
antonyme : entretien chronophage
paper : intégrer dans l’Actu PAP
Actu PAP : Actualisation de Projets d’Actions Personnalisées
impétrant : nouveau dans le service
BEC ou « box »: Bureau d’Entretien Conseil
DE : demandeuse-deur d’emploi
incrémenter : ajouter (un chiffre à un autre chiffre)
ARAF : Aide à la Reprise d’Activité des Femmes
ARE : Allocation Retour d’Emploi
GL : gestion de liste = radiation, suppression d’un revenu de remplacement
écart : anomalie de conduite pouvant être objet d’un diagnostic
agent pro-actif : agent bien noté pour son activisme ostentatoire
entretiens BMO : enquêtes téléphoniques sur leur Besoins de Main d’œuvre que tout agent pro-
actif se doit de mener auprès des employeurs potentiels de sa clientèle de DE
fenêtre de tir : période de réception des chômeurs par les conseillers ANPE
reprise de stock : réception des clients que l’agent n’avait pas encore rencontrés
« harmonisation
des pratiques » : euphémisme appartenant au lexique des mots empêchant l’expression de
maux .



Le parcours du chômeur demandeur d’emploi
En France, l’Agence Nationale Pour l’Emploi (ANPE), entreprise publique à responsabilité publique, soumet les chômeurs demandeurs d’emploi (DE) à des entretiens conseil réalisés dans des bureaux ou ‘boxes’ ad hoc durant la partie de leur journée de travail que les conseillers nomment leur fenêtre de tir. Les conseillers ANPE sont censés être choisis pour leurs dons d’écoute et d’empathie et être pour autant capables de conduire des entretiens en profondeur ouvrant sur un suivi individualisé et un éventuel contrat d’accompagnement. Face à la foule des candidats, les chefs de service recommandent toutefois à leurs subordonnés de « mieux gérer leur temps », ce qui signifie « être bref », « décider en un éclair », « sauter à la conclusion » quitte à « être unilatéral », toutes attitudes qui caractérisent l’entretien flash.
Pour sa part, l’Association pour l’Emploi Dans l’Industrie et le Commerce (Assedic) est une assurance contre le chômage financée par les cotisations des salariés et de leurs employeurs. Les agents Assedic, qui gagnent en moyenne 30% de plus que leurs homologues ANPE, sont soumis à des règles de « rentabilité » encore plus draconiennes.
Davantage que sur ses qualités humaines « d’écoute et d’empathie », le conseiller ou l’agent est en effet noté sur sa productivité positive et négative, en l’occurrence sa capacité de critériser des fiches d’entreprise de chômeurs réinsérés et de radier les chômeurs malins (en jargon d’harmonisation des pratiques : de procéder à une GL de leurs toponymies). Le conseiller pro-actif doit être à même, dès les premières minutes passées dans le box avec son client d’orienter celui-ci vers le parcours qui sera le sien durant l’éventuelle période d’accompagnement.

Trois parcours possibles sont diagnostiqués : ceux qui « sortent naturellement des fichiers » ; ceux pour qui il faut « mobiliser des prestations d’appui ponctuel » ; ceux pour qui « mobiliser immédiatement un appui renforcé ».

D’où émane ce langage ? Du service d’urgences d’un grand hôpital ? Des services de réinsertion sociale d’une prison ? Ou de la direction d’une boîte de préparation au bachot ? C’est le langage du triage : prisonniers destinés aux travaux du camp, malades sélectionnés pour la visite du grand médecin de passage, pauvres orientés vers un service d’assistance idoine. Ou candidats inclassables parce qu’intraitables, lycéens inaptes aux cours de rattrapage, prisonniers indignes d’une mise en liberté surveillée.
Heureux le chômeur qui sort naturellement du fichier… On croirait entendre parler d’une espèce rare d’oiseau, seul capable de s’envoler et de quitter la réserve… Ces trois parcours ressemblent fortement aux niveaux « R1, R2, R3 » utilisés avant l’invention du profilage : autonomie, appui ponctuel, accompagnement. La seule différence notable, c’est l’intromission de l’Assedic à un nouveau maillon décisif de la chaîne. Lors d’expérimentations faites çà et là en 2005, on a vu l’Assedic « inviter » l’ANPE à inscrire un chômeur comme couvreur, au motif qu’il venait de terminer un contrat de ce type. Et le gars effaré de protester : « Mais non, je leur ai dit que je voulais plus faire ça. J’ai pris ça pour me dépanner, c’est pas mon métier ».

De l’aveu de bien des conseillers, ce qui leur est demandé, ce triage, est un « boulot de flic ». Parfois, les préposés au triage se révoltent. Dernièrement, un conseiller ANPE a été présenté devant le juge d’instruction, après avoir vu son appartement perquisitionné.
Avait-on retrouvé chez lui des bidons d’essence, des cagoules, une liste de copains fous furieux, le plan des agences détruites, leurs codes d’accès ? Non. Il avait déposé sur un forum du site actuchomage.org le message suivant :
« J’informe les énervés qui crament les ANPE qu’il en reste encore : donc suivez le guide ANPE de XXXX :XX, bld XXXXX. Qui sème la misère récolte la colère. Les mots ne sont jamais trop forts quand il s’agit de qualifier le traitement actuel des chômeurs. Dans la réalité d’une ANPE, vous assistez aux reprises de fin de stock, GL2, GL3 (radiations), convocations. C’est comme une usine capitaliste normale avec des numéros de produits correspondant à des humains. J’ai lu ici et là l’évocation du STP et je confirme qu’il y a de cruelles ressemblances…
Un conseiller dégoûté, énervé, agité, syndiqué mais souvent impuissant face à la gangrène néo-libérale qui ronge notre monde ».
Ce message a été rapidement supprimé, de sorte qu’il a été vu par moins de trente personnes en tout. Qualifié d’ « incitation à un délit dangereux », il fait néanmoins peser sur le conseiller la menace de cinq ans de prison : une pure aberration.

Officiellement, le chômeur qui s’adresse à l’ANPE est usager d’une institution publique, alors que celui qui cotise à l’Assedic est client d’une institution privée fonctionnant comme une assurance. En réalité, il n’y a pas de différences essentielles entre la forme publique et la forme privée de la clientélisation des pauvres, en l’occurrence des chômeurs, qu’ils soient assurés ou non contre le chômage.
Le chômeur est-il usager ou client ? Parler de clientèle est particulièrement curieux dans le cas de personnes en recherche d’emploi. « C’est pas important, c’est juste un mot », dixit un conseiller .

À en croire Viviane Forrester, ce langage à la fois clinique et policier, cet affichage de services à rendre à des chômeurs qui sont des travailleurs en suspens (pour l’ANPE) et à des travailleurs qui sont des chômeurs en sursis (pour l’Assedic) est le langage d’un monde disparu mais encore vociférant face à un monde nouveau qui l’investit silencieusement :
Quant au monde inédit qui s’installe sous le signe de la cybernétique, de l’automation, des technologies révolutionnaires, et qui exerce désormais le pouvoir, il semble s’être esquivé, retranché dans des zones étanches, quasi ésotériques. Il ne nous est plus synchrone. Et, bien entendu, il est sans lien véritable avec le « monde du travail » dont il n’a plus l’usage et qu’il tient, lorsqu’il lui arrive de l’entrevoir, pour un parasite agaçant signalé par son pathos, ses tracas, ses désastres encombrants, son entêtement irrationnel à prétendre exister. Son peu d’utilité. Son peu de résistance, son caractère bénin. Ses renoncements et son innocuité, enfermé qu’il est dans les vestiges d’une société où ses rôles sont abolis. Entre ces deux univers, rien qu’une solution de continuité. L’ancien périclite et souffre à l’écart de l’autre, qu’il n’imagine même pas. L’autre, réservé à une caste, pénètre un ordre inédit de ‘réalité’ ou, si l’on préfère, de déréalité, où la horde des ‘demandeurs d’emploi’ ne représente qu’une blême cohorte de revenants qui ne reviendront pas .

Et entre l’ancien monde du travail et le nouveau système qui le ronge et l’investit sans bruit de l’intérieur, la langue de bois des organismes de « lutte contre le chômage » fonctionne comme une interface. Selon Jean-Pierre Dupuy, une interface est le minimum d’information sur le système qu’un sous-système doit absorber pour fonctionner adéquatement. Selon Dupuy toujours, cette « information » peut n’être que le voile de l’ignorance de la vraie nature d’un ordre social qui fonctionne d’autant mieux que cette ignorance est plus générale.
Les sigles fleurissent. Un glossaire est distribué aux impétrants pour leur éviter (ou leur permettre ?) de devenir fous. Il démarre par un aveu : « Difficile de lutter contre les sigles, autant les apprivoiser ». Loin de les traquer, pourtant, l’Agence les encourage. Ils permettent d’édulcorer, voire d’occulter la réalité. Bizarrement, dans cet inventaire ne figure pas l’abréviation la plus célèbre, la GL (pour « gestion de liste ») : « radiation », pour les intimes, autrement dit suppression pure et simple du revenu de remplacement. Concrètement, dans le cas où les allocations fournissent le seul revenu du foyer, la GL se traduit immédiatement par un découvert bancaire, le loyer impayé, les factures idem, l’huissier, etc. Il est tellement plus commode de « pratiquer des GL » que de radier des individus, ou, pire, de supprimer les revenus d’une famille. Faisons l’essai ; au lieu de : « Les enveloppes, là, c’est des GL3 ? » lançons un joyeux : « Le courrier, c’est des privations de ressources ? » Tout de suite, l’ambiance retombe.
Hélas, le choix des mots utilisés pour la rédaction des courriers n’appartient pas au conseiller. Des modèles préexistent, dans l’ordinateur, qui ont été générés au niveau national…


« Nous sommes tous des femmes enceintes allemandes »

La généticienne Silja Samerski a écrit une thèse de doctorat sur les entretiens conseil - encore facultatifs - vers lesquels les médecins allemands orientent les femmes enceintes appartenant à certains groupes statistiques de femmes en risque. Curieuses similitudes entre la consultation génétique aux femmes enceintes et la séance conseil d’un chômeur disposé à initier le douloureux processus de gestation d’un emploi !
Dans ce travail, j’aimerais, par une étude particulière des entretiens entre femmes enceintes et conseillers génétiques, examiner dans quelle mesure les institutions de conseil contemporaines obligent à une remise en question générale de la notion de décision. À partir de l’exemple concret du conseil génétique, j’aimerais examiner les nouvelles significations du terme de décision introduites par les conseillers et suivre les implications et les possibles conséquences de cette nouvelle manière de penser pour les femmes enceintes en particulier et, plus généralement, pour la clientèle des innombrables conseillers de tous types offrant actuellement leurs services .

Certes, pas plus que les contestataires de 1968 n’étaient tous des juifs allemands, les chômeurs-euses français et françaises ne sont littéralement des femmes enceintes allemandes. Ils et elles sont toutefois soumis à un processus de clientélisation analogue, dans lequel l’obligation de décider devient l’interface qui en fera des sous-systèmes d’un système insidieusement totalitaire. Dit en termes moins pathétiques, tous les conseils professionnels orientant leurs clients sur un parcours de risques ont un trait en commun : contrairement aux médecins et autres professionnels autoritaires d’antan, ils remettent la décision aux mains des conseillés. Mais de quelle décision s’agit-il ? D’abord, répétons-le, la décision, telle que l’envisagent les conseillers de tous ordres, est une interface entre le monde vécu des clients et le système dans lequel sont enfermés les conseillers ou, comme ils se définissent souvent eux-mêmes, les facilitateurs d’informations à la décision. Selon Silja Samerski, le propos initial de son étude était le suivant :
Je voulais réfléchir sur l’abîme entre les soucis et des espérances des femmes enceintes, tels qu’elles les expriment dans leur langage, et les concepts d’origine technique déguisés en science populaire dont est construit le discours des experts. En effet, la femme qui accourt à la séance d’orientation génétique pense très concrètement à la santé et au destin de cet enfant qu’elle attend . Le conseiller, pour sa part, émet des jugements sur la base d’analyses de laboratoire, de données statistiques, du profil moyen de la classe des cas auxquels l’enfant à venir est censé appartenir en vertu de quelque déviation biologique de la norme.
En considération de cet abîme, y avait-il un sens à prétendre que des femmes douées de sens commun pussent prendre leurs propres décisions à partir d’un discours sur les probabilités, les génotypes ou la caryocinèse ?

Le chômeur qui accourt à la séance conseil de l’ANPE, de l’Assedic ou d’une quelconque agence de placement pense concrètement à sa famille, aux gosses, à l’appartement qu’il désire conserver et donc au loyer qu’il doit payer, aux repas à préparer, aux frais d’inscription du plus grand dans une école spéciale, ou aux livres qu’il faut acheter, aux habits, souvent aux médicaments. Mais une fois dans le ‘box’, il fera face à un conseiller en base avant ou fenêtre de tir jusqu’à midi dont la fonction principale – selon le langage de l’agence - est, s’il s’agit d’une reprise de stock, de critériser la première fiche du DE et de l’orienter sur un parcours pouvant se conclure par une fiche d’entreprise. Ici, quand bien même les blocs dont est fait le discours du facilitateur d’informations à la décision ressortissent davantage à la pop administration qu’à la pop science, le but est toujours d’obtenir que le client s’attache lui-même au système. L’ANPE qualifie d´autonomie contrainte cette ‘autogestion de stock’ par ses composants individuels. Mais, comme le remarque Fabienne Brutus, « l’autonomie contrainte se passerait bien de la référence à l’autonomie ». Pour revenir au cas des femmes enceintes allemandes, y a-il quelque chose à décider dans la « décision » que leurs conseillers génétiques ont pour mission d’extraire d’elles ?
Toutefois, dès les premières des trente séances d’orientation génétique auxquelles j’assistai, je me rendis compte que les termes mêmes dans lesquels je posais ma question empêchent d’y répondre. Ce que le conseiller génétique exige implicitement de ses clientes, et qu’il appelle décision me parut soudainement ressortir à une manière absolument inédite d’agir dans le présent en fonction d’un futur incertain, mais calculable statistiquement .

Dès lors, la question n’est plus de savoir si les femmes enceintes allemandes et les chômeurs – euses de France aux affres à la séance conseil peuvent encore prendre des décisions, mais bien plutôt ce que signifie le terme de décision dans un tel contexte. Quelle doctorante en Siences Po ou en sociologie se donnera-t-elle la peine d’assister à une trentaine d’entretiens dans un box de l’ANPE ou de l’Assedic et de réfléchir sur ce qui se passe entre le facilitateur en info à la décision et les DE clients de l’agence ? À défaut d’une docte thèse, nous avons la verve d’une journaliste née qui est aussi une ancienne facilitatrice de l’ANPE. Durant sa fenêtre de tir, elle reçoit, en reprise de stock, un monsieur bouleversé:
J’ai reçu ça ; alors je voudrais conserver ma dignité, vous voyez. Je suis au chômage mais je suis quelqu’un. J’ai refusé une offre de plongeur. Je viens d’entamer mes droits Assedic ; j’ai demandé à bosser dans une zone de cinquante kilomètres autour de mon domicile, et en plus je suis serveur. On m’envoie faire la vaisselle dans un restau à une heure de chez moi ! Et quand j’ai expliqué par courrier pourquoi je n’y allais pas, on m’a répondu par une autre offre de plongeur ! J’ai trois enfants ; j’estime avoir le droit de ne pas bosser à une heure de chez moi en horaires découpés .

Ce demandeur d’emploi ignore sans doute la consigne passée aux agents ANPE : « Emmener les chômeurs récalcitrants vers les emplois pléthoriques ». Voici donc un récalcitrant qui a décidé de ne pas accepter les offres de mission de l’agence parce qu’elles ne correspondent pas à l’idée qu’il se fait de lui-même. Il a décidé aussi d’entamer des droits garantis par ses cotisations à une assurance chômage. Dans ce contexte, le non reste la seule vraie décision. Jusqu’à quand tiendra-t-il le coup?
Silja Samerski a vu des clientes de la consultation génétique ramasser les formules éparpillés sur la table, les jeter à la tête du conseiller et sortir : encore une décision qui n’est pas un choix à marquer d’une croix dans un questionnaire multi-options. La différence entre être une femme enceinte allemande et une chômeuse française est que, dans le premier cas, la bonne conduite lors de l’entretien conseil n’est pas – encore – une condition de la réception d’indemnités alors qu’elle l’est dans le second cas.
Depuis 2006, afin d’améliorer « l’intégration des précisions relatives à l’emploi désiré à son adéquation avec la réalité du marché », l’Assedic opère pour chaque chômeur demandeur d’emploi un calcul du risque permettant d’établir son profil. Risque de quoi ? Risque de rester chômeur, risque de voir son indemnité Assedic rétrécir comme peau de chagrin, risque pour l’agence d’être manipulée par des chômeurs tricheurs, risque surtout, pour les chômeurs à haut salaire de référence (lisez : ayant perdu un emploi bien rétribué) de laisser filer une offre de mission dans un secteur d’offre pléthorique (plongeur, balayeur, caissier dans une grande surface, serveur dans un McDonald). Un premier diagnostic du risque est établi sur la base de préférences (souples, SVP) concernant le « bassin d’emploi », le créneau de « métiers possibles », la « durée du travail recherché » (plein temps ?, mi-temps ?), le « régime particulier » (intermittent ? service rendu au domicile d’une personne handicapée ?), le « salaire de référence » (d’ingénieur ou d’OS ?) assorti de données « dures » comme l’âge, le pays d’origine, les diplômes (« surqualifiés » s’abstenir), le motif d’inscription à l’agence (licenciement ? désaccord avec l’ancien employeur ? instabilité personnelle ?) Le langage est clinique, le chômage est traité comme un mal à soigner, une condition quasi-médicale. Après le diagnostic, la prescription :

Les agents prescrivent, c’est ainsi qu’on nomme leur mission. Ils distribuent, en fonction de la gravités, des ateliers (petit rhume), des accompagnements (grosse bronchite), des accompagnements sociaux (phase terminale). Pas de pilule miracle pourtant. Les taux de réussite de ces prestations sont à relativiser (c’est nous qui soulignons) .

Mis en service en juin 2006 et rendu obligatoire dans les agences ANPE et Assedic, l’outil de profilage permet aux agents de coller une étiquette à leurs chômeurs et de signer avec chacun un contrat personnel « droits et devoirs » impliquant l’acceptation mutuelle de son profil. L’agent ou conseiller pourra alors définir souplement le ‘métier’ recherché et, profil en main, les actions à conduire. Il proposera au chômeur un parcours ‘réaliste’ établi ‘scientifiquement’ sur la base de son profil et de la distance à l’emploi indiquée par l’outil statistique de calcul du risque. Pour sa part, le chômeur sera sollicité d’entériner ce parcours : comme tout client consentant d’une agence de conseil, il sera progressivement entraîné à prendre ses décisions – ses propres décisions - sur la base du profil établi par ses conseillers et à courir sa chance sur la course d’obstacles résultant de ce profil : autonomie contrainte. Tel est, dans la pratique, le nouveau mécanisme de l’hétéro-définition des « pauvres » dans un contexte où le sous-salariat et la précarité deviennent la norme . Une hétéro-définition, raffinement suprême, qui s’appelle décision.
Après un entretien à bâtons rompus sur les antécédents familiaux de sa cliente, le conseiller génétique établit un premier profil de risque et prescrit une première batterie d’examens de laboratoire dont la cliente est sollicitée d’assumer la décision en traçant une séries de croix dans des cases blanches.
Dans les deux cas, la structure du profil et du suivi qui l’actualisera peu à peu révèle un nouveau modèle d’homme moderne que les sociologues Ulrich et Elisabeth Beck qualifient d’homo optionis, être pour lequel non seulement la décision se réduit à un choix entre des possibilités préétablies, mais qui est de plus sollicité de prendre sans cesse des décisions de vie ou de mort, d’identité, d’aspect physique, de mariage, de religion, de liens sociaux et même de sexe. Ce qui est ainsi éliminé de la condition de l’homme moderne c’est tout ce qui pouvait être donné par la tradition, l’histoire, la culture et la nature et se situait ainsi hors du champs des ‘décisions’ à prendre au jour le jour. Pour la plupart des chômeurs, ce donné, cet ‘être’ auquel il faut renoncer au profit d’un aléatoire ‘devenir’, c’est le métier, mot qui dans sa meilleure acception désignait un noyau dur de savoirs, de pouvoir sur le monde matériel, de dignité et d’assurance du lendemain dont chacun était, dans une certaine mesure, doté. Les femmes enceintes qui acceptent un contrat de conseil génétique et les chômeuses et chômeurs dont le ‘revenu de substitution’ dépend d’un contrat d’accompagnement avec l’ANPE, l’Assedic ou une autre agence de placement mettent le doigt dans un engrenage qui transformera en un profil de risque le fruit de leurs entrailles ainsi qu’elles-mêmes, eux-mêmes.
Toutefois, les similitudes s’arrêtent là. Si le suivi génétique de l’agence conseil pour les femmes enceintes est en principe limité à la période de grossesse, la gestation d’une réinsertion réussie peut prendre des années, voir tout ce qui reste d’une vie dite active. Et cette ‘gestation’ d’un travailleur réinséré – jamais, ou presque dans son métier – requiert ! « mobilité géographique et professionnelle » et « flexibilisation du niveau de salaire espéré » : bref tout est à remettre en question ; le chômeur doit être amené à accepter de changer de voie, de lieu d’habitation, de métier, de salaire et c’est cette remise en question qui a nom décision. Et ce travail de réinsertion est de surcroît un rude labeur, qui requiert non seulement de continuelles remises à jour du profil, mais d’instruments matériels: auto pour les candidats envoyés « en mission » à des centaines de kilomètres de leur domicile, et, de plus en plus, Internet pour répondre à temps aux offres récentes : modernisation de la pauvreté oblige ! Peu d’études ont encore été consacrées à la description, la définition et la qualification de l’épuisant travail non productif et non salarié du demandeur d’emploi consciencieux.
D’abord, le candidat à la réinsertion doit se livrer au rituel par lequel le salarié type, prolétaire ou cadre transforme sa force vitale, son corps, soi même en cette marchandise fictive dont le prix se négocie sur le marché du travail.


La colonisation du temps de vie par le travail fantôme
Tous les matins, le travailleur, qu’il soit salarié ou salarié en gestation, doit se tirer du lit, se désodoriser à grand luxe de savon et d'eau chaude, se charger lui-même jusqu'au parc à voiture et se déposer sur le siège avant pour se conduire, comme chauffeur de soi-même, vers le marché du travail où il pourra transformer sa force vitale en force de travail – ou de chômage - dotée de valeur de marché. On prendre le taxi, le métro, l’autobus et faire les frais des ruptures de charge
En ville, la ménagère type se rend plusieurs fois par semaine au supermarché où elle choisit les ingrédients de ce que tant bien que mal, elle transformera en un repas. Voyez comme elle les empile dans le coffre de son auto. Suivez son long parcours à travers les embouteillages et observez comment, après avoir transporté ces marchandises dans son garage, elles les extrait de son auto, les déballe, se débarrasse des emballages, met la soupe Campbell ou Knorr et les légumes congelés sur la plaque électrique. C'est alors seulement que la ménagère pourra devenir cuisinière.
L’étudiant qui bachote, sèche sur un thème ou prépare des examens dans des matières sans relation avec ses intérêts personnels, la mère de famille qui s'efforce de transformer sa progéniture en matière scolarisable capable de produire des heures-fesse silencieuses et évaluables sont également attelés à des labeurs qui ont en commun d’être non productifs, non salariés et exténuants, de même que le chômeur obligé de traverser la ville plusieurs fois par semaine afin de se présenter à l’ANPE et de devenir ainsi une force de chômage certifiée, capable de remplir un « ordre de mission » ou de toucher le coupon qui lui permettra d'obtenir sa pitance jusqu'à sa prochaine convocation au bureau du chômage.
Ce genre de travail, aussi inutile qu’humiliant, généralise la logique du guichet: si tu veux survivre, fais la queue pour recevoir ta feuille jaune ou le chèque de l’Assedic qui te donnera un sursis. Il ne produit pas de biens de subsistance, mais soumet l'obtention de moyens de survie stériles en soi à un contrôle bureaucratique. Pas étonnant que l'énorme fatigue engendrée par ce type de ‘travail’ soit en passe de se transformer en moyen de contrôle préféré de l'État-Marché : le chômeur astreint à la pendularité, par exemple, n'a pas le temps de faire la révolution.
Durant près d’un siècle, plus croissait la sphère du travail salarié, et plus s'étendait son inévitable ombre non salariée. Donnons un nom à cette ombre : le travail de l’ombre, ou mieux : le travail fantôme . Le travail salarié et le travail fantôme ont été aussi inséparables que la froide lumière électrique et son ombre crue. Le travail fantôme est une forme de servitude peut-être pire que l'esclavage de jadis. Comme le travail vernaculaire, il n'est pas salarié, mais ici s'arrêtent les comparaisons. Le travail vernaculaire était communautaire et public. Le travail fantôme est privé et humiliant. Le travail vernaculaire était digne et il produisait directement des biens de subsistance; il était créateur de cultures matérielles innovatrices. Le travail fantôme est improductif; il ne fait que rendre vendables des valeurs qui, dans toutes les cultures du passé, étaient des valeurs d'usage et consommables des biens de marché qui n’acquièrent une valeur d’usage que par un travail fastidieux. Le travail fantôme du migrant pendulaire le transforme en force de travail monnayable. Le travail fantôme de la ménagère dote des biens de marché d’une valeur d’usage. Le travail fantôme détruit la culture matérielle traditionnelle en plongeant le travailleur fantôme – qu’il soit salarié ou chômeur - dans un monde immatériel et irréel, un monde virtuel.
Ce qu’il reste de deux siècles de culture du travail ressemble de plus en plus au « pays des longues ombres ». La lumière devient blafarde, l’ancien soleil du travail peine de plus en plus à se maintenir au-dessus de la ligne d’horizon. Mais son ombre ne cesse de s’allonger : il faut craindre que, bientôt, pour tout un chacun, les heures de travail fantôme obligatoire seront plus longues que les heures de travail salarié, productif ou non.
Le travail fantôme est l’effort sans salaire qu’il faut incorporer à une valeur d’usage pour en faire une valeur d’échange présentable sur un marché. Ou c’est, à l’inverse, le travail qu’il faut ajouter à une valeur d’échange pour en faire une valeur d’usage. Le migrant pendulaire transforme ainsi sa force vitale, lui-même, sa nature en force de travail en la transportant sur le marché du travail. La ménagère transforme des biens markétises, emballés, surgelées et parfois toxiques en équivalents de repas sur la table familiale.

martedì 28 ottobre 2008

a proposito del portable come gadget di distruzione di massa

Sta mattina ho comprato la Repubblica a Marsiglia, credo la prima volta che compro un giornale italiano da quando sono arrivato in Francia, e cioè ormai più di un mese, quasi quasi un mese e mezzo. A pagina 28 trovo il servizio di Francesca Caferri sul Congo: se la guerra civile minaccia i gorilla. Sta mattina a casa di D., per dire le coincidenze della vita, a casa di D., dove mi sono svegliato, ho lasciato un volantino che avevo preso nello suat des tanneries, a Dijon, circa due settimane fa. In quel volantino c'erano scritte suppergiù le cose che ha scritto Francesca Caferri, solo che Franscesca Caferri ha dimenticato di aggiungere un dettaglio, una liason, come direbbero i francesi, che era anche il titolo del testo del volantino: le portable, gadget de detrution de masse. E cioè: il telefonino, gadget di distruzione di massa. In quel testo si spiegano cose che molti sanno e molti non sanno, e cioé che le schede dei telefonino sono fatte di coltan, che é un minerale resistente al calore, le cui miniere si trovano in Congo, proprio vicino alle pianure dove abitano i gorilla in via di estinzione. E che nelle miniere di coltan ci lavorano molti bambini strappati alla scuola, e che le milizie dei ribelli del Congo comprano di contrabbando il coltan dalle compagnie minerarie e lo rivendono a tre società, una statunitense, una tedesca e una cinese, le quali trasformano il coltan in polvere e lo rivendono alla Ericsson, alla Nokia e ad altre tre o quattro compagnie telefoniche che troviamo stampate sui nostri telefonini. Le domande che mi sorgono spontanee sono: quelli che scrivono nel volantino che il telefonino é un gadget di distruzione di massa sono integralisti, esagerati o veritieri? E poi ancora: come mai le catene di commercio equo e solidale non lanciano una campagna di boicottaggio e di consumo critico in tal senso? E poi ancora: ma ha senso parlare di queste cose, tanto ormai é fatta, non si puo' più tornare indietro...E poi ancora: ma se sono cose che sanno tutti perché la giornalista di Repubblica non le scrive? E poi ancora: Terra selvaggia, una rivista che fanno un po' di gente di Pisa e dintorni, tempo fa ha pubblicato un articolo sui danni del telefonino sugli esseri viventi, utenti e non utenti, come mai quasi tutti i redattori di Terra selvaggia sono in carcere o ricercati e imputai di "associazione sovversva avente come scopo l'eversione del'ordine democratico" (270 bis). Io ne approfitto per ricordare il volto e il sorriso di Leo, tuttora perseguitato dalla Legge italiana e accusato di favoreggiamento in associazione sovversiva, vai più lontano che puoi Leo, le mie lacrime e il mio grido non potranno salvarti, ma almeno squarciare il velo del silenzio, quello si che possono farlo. Per chi volesse ricevere il testo completo scritto in francese sta mattina a proposito di questo argomento lo chieda scrivendo un commento a questo post, angelo

sabato 25 ottobre 2008

dagenovaaparigipassandodachiavarinbiciclettaetreno

19 settembre, Dall'Oasi dei Ghirardi verso Genova via Chiavari e Passo del Bocco con meta metaforica: Parigi!

Il mio nemico non ha divisa, ama le armi ma non le usa
nel fodero ha una carta visa e quando uccide non chiede scusa

Andavo cantando questo minchia di motivetto di Daniele Silvestri mentre con la bicicletta partivo dall'Oasi WWF dei Ghirardi sotto la pioggia con le orecchie e la testa che risuonavano dei "Ma parti con la pioggia?" dei companeros rurales che abitano li e che mi hanno ospitato tra metà agosto e metà settembre. Avevo anche un peso notevole a livello emotivo di cui adesso non parlero' ma di cui ho accennato nel diario da Nizza. Si', perché questo pezzo di diario della partenza l'ho scritto la sera stessa a mano ma l'ho ricopiato per ultimo, cioé adesso, dopo quattro giorni dalla partenza e dopo aver scritto un pezzo di diario per ogni città dove ho trascorso almeno una notte, a parte quello che ho scritto da Nizza dove non ho trascorso una notte infatti é un diarietto veloce e breve rispetto agli altri.

Di quella partenza ricordo la pioggerelina che cadeva e io che avevo detto ai companeros prima di partire che se avesse rinforzato la pioggia sarei tornato, certo, sono cose che si dicono per... come dire...pro forma, certo, se si fosse messo a piovere d'la madona, come dicono i miei amici di sSan Feliciano trasimeno, Andrea, Nicola e gli altri, magari si' che sarei tornato indietro, ma intanto all'inizio gli alberi del sentiero scosceso mi proteggevano dalla pluie, il cappuccio del kway non l'ho messo quasi per niente, cosi' respiravo meglio l'aria del bosco e cose del genere. Dopo i primi passi con la bicicletta in mano che la srada era troppo scoscesa e avrei rischiato di cadere come mi era capitato tempo prima e soprattutto avrei rischiato di rompere un raggio della ruota posteriore, com'era capitato tempo prima, ecco dopo i primipassi con la bicicletta in mano, mi sono messo a pedalare, ma la fanghiglia si é accumulata nei freni e ha neutralizzato quasi del tutto il freno anteriore

Il mio nemico non ha divisa,
ama le armi ma non le usa
nel fodero ha una carta Visa
e quando uccide non chiese scusa

(comunque ho scoperto qui in Francia che la carta poste pay che ho utilizzato per prelevare i soldi fa parte del gruppo di carte Visa!)

Allora mi sono messo a chiedere, non appena arrivato a Bedonia, dopo aver attraversato tutta l'Oasi e il pezzo di strada asfaltata provinciale o Statale che rimane prima di arrivare a Bedonia, mi ero messo a chiedere ai carrozzieri e meccanici (uno, anche perchè un altro era chiuso che già era l'una) se mi aiutavano a riparare il freno, ma quello mi aveva detto che mi poteva prestare una chiave ma non il suo tempo. Avevo continuato mezzo sconsolato e, finalmente, tra Bedonia e Santa Maria taro era successo il miracolo di cui ho raccontato nel diario da marsiglia.
Comunque adesso ricopio paro paro quello che ho scritto a mano la sera del 19 settembre appena arrivato a Genova

Due cose, una bella e una brutta di oggi?
Una bella: non so da dove iniziare. Una brutta: idem.

In verità sto raccogliendo e custodendo dentro di me le suggestioni, dalla partenza piovosa di sta mattina alla telefonata a mia madre che ha preso per regalo di compleanno i ritratti che le ho spedito per il regalo di nozze di mio cugino A. (in verità avevo pensato che due o tre ritratti dei sei spediti, li potevo regalare a mia madre, e uno anche a mia zia, sua sorella, ma non ricordavo che il 18 settembre era il compleanno di mia madre, o meglio, forse incosciamente si'); dal bar lungo la strada tra Bedonia e Santa maria Taro dove non vendevano bottigliette d'acqua di plastica (proprio a me doveva capitare l'unico bar noglobal del mondo!) ai tipi in tuta da operaimeccanici lungo la strada boscosa che mi hanno riparato il freno anteriore della bici; dal filo del freno posteriore che mi sembrava rotto e invece era soltanto "fuoriuscito"fino all'arrivo a Genova, prematuro! Se era aperto il biciclettaio di Chiavari che ho trovato chiuso sarei rimasto a Chiavari? Nel senso che lo spirito iniziale e ideale e integralista di questo viaggio poteva essere quello di viaggiare solo in bicicletta e quindi fermarmi nel paese dove arrivo in serata e dormire li', in questo senso Genova era prematura, pensavo di arrivarci l'indomani. Invece un po' la pioggia agli irti colli (nel pomeriggio, dopo le quattro non pioveva più e anzi era spuntato il sole) un po' la telefonata ad A. di Genova mi hanno fatto accelerare, anche perché A. mi ha detto che c'era un'iniziativa ial Grimaldello e ci potevamo vedere li', allora ho preso il treno per Genova rompendo a sacralità della bicicletta, sacralità quasi dogmatica e quindi potenzialmente integralista.

domenica 21 settembre 2008

coalizionecontrolamorte

"Egli soffre per motivi la cui vacuità é tale da spaventare lo spirito, e si consacra a valori la cui ridicolaggine salta agli occhi (...)
dal momento che non é facile approvare le ragioni invocate dagli esseri umani, ogni volta che ci si separa da uno di loro la domanda che viene alla mente é invariabilmente la stessa: come mai non si decide a uccidersi?"

da E. Cioran, Sommario di decomposizione

sulle derive assolutistiche

Ogni assoluto - personale o astratto - è un modo di eludere i problemi, ma anche la loro radice, la quale non é altro che panico dei sensi

da E. Cioran, Sommario di decomposizione, p. 21

dalsommariodidecomposizionedicioransullapoesia

La definizione é la menzogna dello spirito astratto, la formula ispirata la menzogna dello spirito militante: c'é sempre unq definizione qll'origine di un tempio, una formula vi raduna ineluttabilmente dei fedeli. E' il modo in cui cominciano tutti gli insegnamenti. Come non orientarsi allora verso la poesia? Essa ha - al pari della vita - la scusante di non dimostrare nulla

in E.Cioran, Sommario di decomposizione

dalsommariodidecomposizionedicioran

Soltanto il poeta si assume la responsabilità dell'"io", soltanto lui parla a nome di se stesso, soltanto lui ha diritto di farlo

La poesia si imbastardisce quando diviene permeabile alla profezia o alla dottrina: la "missione" soffoca il canto, l'idea intralcia il volo. Il plurale implicito del "si'" e quello esplicito del "noi" costituiscono il confortevole rifugio dell'esistenza falsa

Il trionfo della non autenticità si attua nell'attività filosofica, questo compiacimento nel "si'", enell'attività profetica(religiosa, morale o politica), queste apoteosi del "noi"

(in E. Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 30-31)

marsigliabainait

sta sera silenzio
nella biosfera
sta sera silenzio a marsiglia
che chi vuoe se la piglia
il vuoto o il senso del vuoto pesa
é un vuoto o un senso di vuoto abnorme
domenicla appunto
che ti prende allo stomaco
e lo porta via
anzi lo porta giù
dritto all'inferno!

Pero', tutto sommato, se non fosse perché é domenica, starei bene. vabé la domenica ci vuole cosi' uno si riposa, pero' qualche minchione mi potrebbe scrivere una letterina in questa domenicq tristissima con la sindrome da emigrato a portata di mano e di sangie a pri,a o poi scoppio di sangue dalla testa e dal cuor e addio amor, che cos'é l'amor, anreone

sabato 6 settembre 2008

comelavorofaccioritieroticointimi

Che lavoro faccio? Sostanzialmente questo: chiedo alla gente se vuole fare all’amore con me! Loro rispondono straniti, non gli sembra vero. Anch’io ci resto stranito se mi dicono di sì e poi mi pagano. L’ho imparato da un ragazzo che lo faceva e io non ci potevo credere che gli andasse bene, cioè che dicessero di sì e che poi lo pagassero anche. Allora ci provai anch’io e, piano piano, ho imparato. Comunque faccio tutto io, loro devono solo stare fermi, “bastano pochi minuti”, dico io. Eh sì, questo devo ammetterlo: sono veloce, e qui sta il mio segreto. Sì, loro sono più contenti perché, dicono, “abbiamo poco tempo”. Prima, all’inizio, ci mettevo più tempo, poi ho imparato a velocizzare e adesso gira meglio. All’inizio andavo nei posti e nei giorni dove c’era la gente giusta: li chiamano Festival. Ci sono in certe città, ogni anno, di solito d’estate ma anche in primavera e autunno (a volte la gente come me, in certi festival, è vestita in costume medievale: infatti anch’io ho comprato un piccolo costumino e la cosa mi piace perché è un po’ magica e un po’ romantica)

Qualcosa lo organizzano anche a ridosso del Natale; quindi, chi vuole, ci può campare con questa attività. Anche se devo dire che c’è una certa mafia, perché ci sono quelli come me, per esempio, cioè i cani sciolti, che non guardano al lucro, cioè ai finanziamenti previsti dall’Unione Europea, quindi non riescono a camparci tanto serenamente: altri invece che hanno gli agganci giusti, stanno dietro agli assessori ecc. e trovano le scorciatoie ecc. Ma io mi sent’bene così: duro e puro! Anzi, più puro che duro, che se fossi più duro cercherei anch’io i finanziamenti, o no?

Una volta una ragazza mi disse che si imbarazzava a guardarmi negli occhi. Infatti l’unica cosa che chiedo è questa: guardarmi negli occhi almeno per i primi minuti. Io le dissi, a questa ragazza, che “guardarsi negli occhi è come fare l’amore”, e lei rispose: “No, di più”.

Mi danno cinque o dieci euro ogni volta. Dieci euro per due o tre persone, anche se è capitato, ma si possono contare sulle dita di una mano, che mi abbiano dato venti euro: una volta a Bologna, due ragazzi albanesi di quelli di lunga permanenza; e una volta a Firenze, una giovane donna. E anche un’altra o altre due volte ma non ricordo bene dove e chi.

Dico “due o tre persone” perché mi sono specializzato anche per i gruppi. Lo faccio spesso alle coppie, ai trii, ai quartetti, e a volte anche a gruppi di cinque o sei persone. Anche ai bambini, benché qualcuno dice che ai bambini sarebbe meglio di no, è più delicato, difficile e cose del genere. Guadagno poco ma non ci pago le tasse. Do il frutto del mio lavoro sotto forma di carta macchiata. In quelle macchie ci sono però tracce che ricordano e ripropongono linee del volto e in parte del corpo di chi partecipa con me a questo rito eroticointimo.

giovedì 3 luglio 2008

a me mi piace fare i biglietto del treno se...

Non faccio il biglietto sul treno perchè:

- c'è troppa fila alle biglietterie e le file mi ricordano gli animali che vanno al macello o gli schiavi che vanno al bordello
- c'è troppa fila quasi sempre perché su sei biglietterie solo tre sono attive
non faccio il biglietto del treno perché:

- le macchinette automatiche che emettono i biglietti a volte non accettano banconote e a volte ti fottono i soldi e se è di giorno ancora ancora che i bigliettai ti rimborsano, se è di notte sono cazzi.

Una volta però su un treno mi blindarono, cioè mi rinchiusero, cioè rimasi incagliato, inchiummato, incarcerato, perché?

la mia è una proposta politica, un gioco al massacro al contrario, cioè creativo, io martello i miei neuroni della paura fino a quando li sfondo, li sfracello, e con lo spirito degli antichi, cioè di quelli che vent'anni fa salivano sui treni senza biglietto o coi biglietti taroccati e viaggiavano (c'è qualche cenno nel libro Fedeli alla roba, di Angelo Panebarco, Stampalternativa), cioè aiutato anche da questo spirito, ecco, così vado avanti, a esplorare il vasto mondo della clandestinità quotidiana invisibile e innocua, del banditismo ferroviario e non solo, della vita vera, nuda, sincera. Tutto il resto sono macerie, minchiate, bagascisimi, farsità, plastica.

Comunque, una volta mi blindarono, anzi, mi blindai io!

A me mi fa morire sta cosa che basterebbe che ogni "Notav" si accanisse nella quotidianità concreta, per far crollare l'Impero della Tav, basterebbe giocare un po con la paura e massacrarla, la paura che abbiamo dentro, ed esplicitare il rifiuto di non pagare il biglietto sul treno, basterebbe questo per far crollare l'Impero della Tav, ma comunque, qualcuno può pensare e dire che non è così facile e semplice, ma io dico che è molto semplice far crollare tutto, ma il fatto è che, come dice quello del XVI secolo, de la Boetie, nel libro sulla Servitù volontaria, ecco, come dice quello, siamo servi volontari, e ci piace, se ci rendiamo profondamente conto di questo, la servitù volontaria crolla e così si liberano le energie insurrezionali, eversive, evertenti, divertenti. Qualcuno può dire che le cose si devono fare insieme, risolvere le cose da soli è avarizia, risolverle insieme è politica, diceva don Lorenzo Milani, ma il contesto è cambiato, e Bauman nel libro Voglia di comunità spiega bene che il danno, il trauma, è ancora tutto da gestire, elaborare, e dice che oggi siamo rimasti soli, e non c'è più possibilità di agire collettivamente, ci resta come una condanna l'azione individuale, cioè non possiamo scegliere, è così e basta, se riusciamo a rendercene conto, si libereranno dentro di noi le energie insurrezionali, se no continuiamo a fare le pecore come quelli che fanno i biglietti alle biglietterie cioè la fila o i biglietti alle macchinette che non accettano banconote o ti fottono e poi ti mangi veleno e ti rodi il fegato e poi ti prendi gli psicofarmaci, comunque...

Comunque, una volta io mi blindai, salìi sul treno, tra Perugia e Rimini, a fine maggio, e mi infilai nell'ultimo vagone, un vagone di servizio, che c'è una sedia vecchia con l'intelaiatura di corde di gomma, all'antica, la sedia è di metallo credo, ed è semovibile, a volte scancarinata anche, e davanti alla sedia un tavolino, cioè un ripiano di formica, e lì ogni tanto ci sta un capo treno o qualcuno di questi qui che mmurritiano con le carte del treno e cose così. A volta io ci metto la bicicletta in questo scomparto, in mancanza di scomparto per le biciclette, cè uno spazio aperto e vuoto, e poi una porta che si apre sulla cabina di comando. Io quella volta mi infilai lì, avevo una rivista erotica tipo Xcomics, dico me la godo, e mi siedo sulla sediolina all'antica. A un certo punto arriva un ragazzo con la bicicletta, vuole entrare e non riesce ad aprire. Allora provo anch'io ad aprire. Niente. Da fuori qualcuno se ne accorge. Io faccio cenno di andare a chiamare un controllore. Il controllore arriva, o meglio, da fuori il treno arriva un tipo, un macchinista, che sta scendendo, dice che prova a dirlo al capotreno. Poi torna dicendo che il capotreno ha detto che verrà ad aprirmi prima di Rimini! io mi metto a sogghignare, mi guarda una ragazza ferma al binario, sta aspettando un altro treno. Ci capiamo, anche lei sogghigna amaramente, della serie "Vidi vidi a cchi livellu simmu". Ma intanto io resto dentro. Dopo un pò di lettura e di incredulità realizzo la situazione: mi hanno sequestrato! Ci sono i termini per denunciare trenitalia di sequestro di persona? Dopo un pò dico a qualcuno che vada a chiavare un capotreno qualunque. Dopo un pò vuol dire dopo una o due stazioni. Ci stiamo avvicinando a Rimini. Viene il capotreno. Mi spiega che la porta si chiude automaticamente, quel tipo di porta. E che in realtà i passeggeri non ci potrebbero stare lì dentro. Arriviamo a Rimini. Io mi sono divertito anche sta volta. Comunque devo dire in tutta sincerità che per questo viaggio avevo pagato il biglietto. 11 euro, cinque ore di viaggio e due cambi: Foligno e Falconara Marittima.
A me mi piace pagare il biglietto, quando non c'è fila alle biglietterie e quando posso guardare negli occhi il bigliettaio o la bigliettaia, sono un postromantico, io
Andrea Speranza

martedì 24 giugno 2008

milano 13 giugno al camporom: italiani e rom (dis)uniti nel calcio e nella carità

MILANO, 13 E 14 GIUGNO 2008: ROM E ITALIANI (DIS)UNITI NEL CALCIO E NELLA CARITA'

Milano: 13 giugno 2008. Cena al Campo Rom di Via Barzaghi e festa sfumata. L'indomani mattina il Corriere di Milano in prima pagina spedisce una foto e poche righe che parlano di "Rom e italiani uniti nel nome del calcio". Nella pagina interna in cui continua il racconto si legge che la Casa della Carità e Radio Popolare hanno organizzato la serata per far incontrare italiani e Rom davanti un televisore per vedere Italia- Romania, che finisce 1 a 1.

L'articolo sopra parla di militarizzazione delle città con l'approvazione del ddl che approva la spedizione di alcune migliaia di miltari in posti "caldi" delle città italiane.
Perchè all'assemblea finale del meeting antirazzista, svoltasi alla CAscina Torchiera, fra le 19 e le 22 di sabato 14, qualcuno parla di "ostilità" da parte di radio Popolare e della Casa della Carità?

Facciamo qualche passo indietro. La mattina del sabato, davanti l'edicola vicino al Cimitero Maggiore, vedo e sento una donna che parla con l'edicolante. La donna avrà poco meno di cinquant'anni, abbigliamento e acconciatura dei capelli "benestanti" (privilegiata, direbbe don lorenzo Milani). Dice che lei conosce una romena molto educata, non come "quelli che sono entrati nel mio appartamento, che se li avessi trovati li avrei riempiti di randellate". Io ascolto e vorrei reagire, visceralmente, poi penso a quello che mi diceva A. un mese fa circa, lui abita in un piccolo paesino sul Lago Trasimeno. Mi diceva che evita di leggere i giornali per evitare di avvelenarsi il sangue, ma poi era andato dal barbiere e uno che era lì aveva detto che "non se ne può più di immigrati clandestini e di Rom" Allora A. aveva detto che non basta non leggere i giornali, il veleno ti arriva uguale.



Questa era una "divagazione", torniamo al Campo Rom di Via Barzaghi, la sera del 13, io e N. arriviamo tardi, sotto la pioggia.

Al Campo Rom la pioggia ha "devastato" la possibilità di fare la festa prevista: spettacoli, musica, cibo ecc. Solo il cibo rimane possibile e la partita Italia-Romania che secondo Casa della Carità e Radio Popolare "unifica italiani e Rom".

Il giorno prima uomini armati e in divisa hanno fatto irruzione nel Campo (erano dieci? erano venti? O di più?) e chiedono documenti a chi conoscono da anni, "me li hanno chiesti mille volte, mi conoscono da anni", come dice uno di loro all'assemblea della sera del sabato al Torchiera. "Ho la voce bassa perchè a un certo punto mi sono incazzato e mi sono messo a urlare". "Mi sembra che siamo tornati ai tempi di Hitler", dice anche questo il tipo, ha circa cinquant'anni, un'aria da persona consapevole, parla di Dio, della terra e della razza umana, "Noi non siamo di nessuno, la terra non è di nessuno, è di Dio". "C'è un progetto di annullamento del popolo Rom, è già successo in altri periodi, vogliono cancellare la razza dei Rom, e sapete perchè? Perchè il popolo Rom non ha un esercito, non ha mai avuto un'armata, non ha mai aggredito un altro popolo". Queste parole le diceva durante l'assemblea. All'inizio ha fatto un discorso su Dio e sul popolo Rom, poi è andato nel concreto, parlando delle "visite" degli uomini armati alle cinque del mattino nei Campi. E il discorso si fa più interessante, più concreto.

Quando io e N. arriviamo sotto la pioggia al Campo Rom sono rimaste poche persone, qualcunoa arrivato da Padova, qualcuno da Genova che riconosco, e altri di Milano ovviamente. Si parla di "dove andare a dormire", a noi ci viene ssegnato un soppalco della cascina torchiera. Anche perchè il ragazzo che ci ha fatto salire in macchina per l'ultimo tratto di strada sotto la pioggia in Via Barzaghi, è del giro del Torchiera. Ci riferiamo a lui quindi, il quale ci dice che possiamo dormire lì, appunto.

Mentre aspettiamo di andare a dormire salutiamo alcuni che riconosciamo e alcuni del posto. Poi entriamo in una baracca dove ci sono altri seduti attorno a un tavolo. Io chiedo se c'è ancora qualcosa da mangiare. Scatta l'operazione "cibo". All'inizio ci danno un piatto con degli involtini di verza bollitA CON DENTRO CARNE TRITATA E CIPOLLA TRITATA E sughetto ricavato dalla bollitura. E ci mettono in un tavolo della baracca dove siamo entrati. Poi ci spostano in un'altra baracca dove ci sono tre o quattro uomini seduti attorno a un tavolo, due o tre ragazzi buttati su un letto, due o tre donne che servono, bottiglie di birra sul tavolo, e S. e F., i due del comitato di appoggio che ha organizzato il meeting. Si parla del più e del meno, del clima di tensione creato ad hoc dalle Istituzioni, delle intimidazioni delle guardie armate dei giorni precedenti, del raduno di neofascisti che è stato spostato a Rho, che fino a un giorno prima doveva essere qiui vicino, ma "all'ultimo momento gli hanno dato la diffida e lo hanno spostato vicino Rho", come ci aveva detto già M., il ragazzo che ci ha fatto salire sulla sua automobile per l'ultimo pezzo di strada prima di arrivare al campo.

"Il nemico numero uno", dice qualcuno dei presenti, "è la Casa della Carità e don V. C., il Direttore".

(Io lo conosco don V., penso, era direttore della Caritas e quindi "mio" direttore quando facevo il servizio civile a Milano con la cooperatica sociale laica e di sinistra ma fondata da un sacerdote di strada serio, tanto serio che poi, quando la carità, negli anni '80 diventò sempre più un business, lui se ne uscì e se tornò in parrocchia)

Dice un altro: "E gli abitanti dei Campi lo sanno che il nemico numero uno è don V., che una volta è venuto e lo volevano menare, infatti manda i suoi scagnozzi, non viene più".

La cosa che mi aveva colpito di più, quando, dieci anni fa, avevo incontrato don V., durante una manifestazione di obiettori di coscienza in servizio civile, era che aveva i body guard, le guardie del corpo, la scorta, proprio come don Gelmini! Erano gli unici due "preti di strada" che avevo visti scortati come due ministri!

Il corteo di sabato non è autorizzato. "Anche perchè la Casa della Carità ha fatto pressione perchè non fosse autorizzato". Ma perchè? Che interesse ha la Casa della Carità a non fare autorizzare un corteo di solidarietà? Qualcuno di quelli seduti attorno al tavolo dice che la Casa della C. ha ricevuto tre milioni di euro per la gestione dei tre Campi Rom di Via Barzaghi e via Triboniano". Qualcun altro continua ad aprire birre e a offrirle ai nuovi arrivati, un ragazzo biondiccio di circa trent'anni e una ragazza cogli occhiali e gli occhi verdastri. La donna bella e formosa nei suoi cinquant'anni continua a servirci gli involtini che non ricordo come si chiamano (semalès? no, no, non c'entra un cazzo, ma un pò di queste lettere sono contenute nel nome dell'involtino)

"La Casa della C. ha interesse che tutto resti dentro, nel ghetto, tutto sotto silenzio, per questo non vuole che facciamo il corteo. Ovviamente il lavoro sporco lo fanno gli uomini in divisa, la questura che non da l'autorizzazione per il corteo, ma dietro c'è lei".

Io penso a Ivan Illich e ai suoi libri che non ho letto e che parlano della perversione dovuta all'Istituzionalizzazione della Carità: corruptio optimi pessima est, e penso ad A., che ci ha tutti i libri di Ivan Illich e quando vado a casa sua mi faccio spiegare questo concetto della corruzione dei migliori che produce il danno più atroce, ma è molto più complessa la spiegazione. Prima o poi organizziamo un seminario e spieghiamo un pò di cose: tipo un monologo sulla Carità perversa e poi A. spiega il concetto di corruptio optimi pessima est. E poi un monologo su un tema qualsiasi e A. spiega il concetto di alfabeitizzazione dello spirito popolare di cui si parla nel libro ABC, l'alphabetization de l'esprit populaire, ancora non tradotto in italiano.

"Siamo in guerra, questa è una guerra contro di noi", dice un uomo seduto attorno al tavolo, anche lui dall'aria adulta, sulla cinquantina, uno di quelli antichi, veterani. Beviamo birra e facciamo scontrare le bottiglie per brindare, e ci diciamo "Nurok", che nella lingua dei Rom vuol dire "Salute".

"La Casa della C. non vuole che Rom e italiani si incontrino ed escano fuori dai campi Rom"

Andiamo a dormire con un pò di perplessità, paure forse, preoccupazioni? (Anche se io sono contento di rivedere Milano e questi luoghi della mia gioventù studentesca-universitaria). Per i fascisti che i Rom temono come la peste (una ragazza che incontriamo l'indomani mattina e che abita in una roulotte accanto al Torchiera ci chiede se ci saranno i fascisti); per gli uomini in divisa e armati che già dal mattino, il sabato, vediamo davanti il Cimitero Maggiore, che è anche davanti a Cascina Torchiera. Esco per fare colazione e per provare a fare qualche ritratto. Con i venti euro che avevo dietro ci ho pagato il biglietto dell'Eurostar ieri. A Nadia è andata meglio, non l'hanno sgamata. Neanche a me fino a Bologna. Poi abbiamo fatto come all'inizio, cioè dopo pochi minuti della partenza, tra Firenze e Prato. N. era andata verso il controllore e l'aveva dribblato, cioè era passta oltre, pur sfiorandolo, ma lui controllava i biglietti agli altri, poi ero passato anch'io, e lo avevo dribblato, poi anche un musulmano ed era andata bene. Dopo Bologna c'era meno gente, N. era partita e l'aveva dribblato, io ci avevo provato, troppa poca gente, lui mi aveva sbarrato la strada, chiesto il biglietto e io avevo detto che ce lo avevo al mio posto, più avanti, spesso funziona, sta volta aveva detto"Allora vallo a prendere", io ero andato e sperato che non mi seguisse e/o che si scordasse. Non si era scordato e mi aveva seguito. Mi ero barricato nell'ultimo bagno disponibile. Lui era venuto a bussare. Allora avevo spiegato le cose come stavano: devo fare uno spettacolo di teatro politico al campo Rom di Milano, per motivi di lavoro non eravamo partiti prima delle cinque, dopo le cinque c'erano solo Eurostar. Dopo un "dammi il documento", "Non non te lo do", "Allora chiamo la Polfer", mi aveva portato serenamente nella cabina del capo treno, dopo che ho spiegato la situazione anche al capo treno, abbiamo trovato un accordo: 18 euro di biligetto, il valore del biglietto come fosse un treno regionale!

Al corteo viene anche ma sorella che abita a Milano. Mi porta due magliette a maniche corte che mi ha comprato un pò di tempo fa. Segue tutto il corteo camminando con me e con altri compagni e compagne che vado incontrando. Ci sono i compagni di Rovereto, di Torino, di Genova, arrivano altri due da Firenze, da Pavia, da Napoli, da Bologna, da Padova e altri e altre ancora. E, ovviamente, molti di Milano, qualcuno della Val di Susa.

Un compagno di Napoli ha la pelle color cioccolato. "Lo "scopriamo" quando sentiamo una voce che al microfono, mentre camminiamo lungo Viale Certosa, dice cose tipo "i morti sul lavoro in Italia non sono colpa dei Rom", e altre cose del genere, dette bene, a effetto quasi, io e altrai applaudiamo quasi a ogni minuto. Mi avvicino con mia sorella e vediamo che lui ha la pelle nera. Io penso a un "intellettuale" di Milano arruolato all'uopo per comunicare bene durante il corteo. Invece, contro i miei sospetti maligni, sapremo che viene da Napoli, e ha seguito tutta la vicenda del campo Nomadi di Ponticelli incendiato a metà maggio di quest'anno.

"I salari che si abbassano, il fatto che gli italiani non arrivano a fine mese, non è colpa dei Rom", e giù applausi.

Mia sorella si meraviglia che ci siano tanti uomini armati e in divisa vicino ai Campi Rom da dove partiamo. Lei mi raggiunge all'inizio del corteo, proprio davanti il Campo Rom di Via Barzaghi. Poi arriviamo al Piazzale del Cimitero Maggiore. Il cordone della polizia occupa tutta la piazza, cioè sbarra lal strada. Io esclamo "Sta minchia!", mia sorella dice, in tono sedativo: "Vabè, lasciali stare, che male ti fanno?" Poi aggiunge, sogghignando: "Manco fossimo allo stadio!"
Saremo meno di mille. Forse duecento i Rom, tra gli altri impedimenti, oltre ai controlli alle cinque del mattino, il ocrteo non autorizzato, lapaura dei fascisti, in uno dei tre Campi c'eè oggi una commemorazione della morte di un fratello di uno che abita nel Campo. Dopo una buona mezzora di traccheggio e di concorddamento con i capi dlele forze armate, partiamo.

"Non basta mangiare Kebab per non essere razzisti", e giù applausi

OPPRESSI MA NON SOTTOMESSI, c'è scritto in uno striscione che quelli del comitato di base hanno preparato. Scritta rossa e nera su bianco: i bambini del Campo Rom da dove partiamo lo reggono, io e N. diciamo che prima di arrivare alla fine del corteo il lenzuolo si strapperà. Invece no: arriva intero fino alla fine. BASTA RAZZISMO è lo slogan che all'inizio i ROM e tutti noi urliamo. Loro lo intonano un pò canterellando. Poi lo intoniamo ogni volta che fa una pausa il tipo dalla pelle color cioccolata ventuo da Ponticelli. STOP RAZZISMO, dice lui. Dietro di noi ci sono i compagni di Torino, poi quelli di Rovereto e Trento. Prima di partire, cioè sabato mattina, hanno fatto in tempo a contrastare un gruppo di leghisti e neonazisti che volevano sgomberare un campo Rom "abusivo" vicino Trento. Quelli di Torino in quest'ultimo mese, leggendo i comunicati su informa-azione.info, stanno facendo un lavoro della madonna per sputtanare i rresponsabili della morte del ragazzo del cpt di Via Brunelleschi a Torino, e per difendere quelli che stanno denunciando le botte che ricevono dai guardiani del cpt. Il tutto a colpi di azioni dirette, un presidio davanti la casa del responsabile sanitario della Croce Rossa di Torino e cose così.

Mia sorella fa qualche foto del corteo, dello striscione con delle scritte rosse, ma il telefonino non riesce a fotografare "in grande". Mi fa qualche foto a me di profilo e poi quando prendo sulle spalle un bambino Rom che avevo già incontrato all'inizio del corteo, anzi, già nel campo Rom da dove eravamo partiti. Era in braccio alla madre e volevo prenderlo fra le braccia ma non era voluto venire. Sta volta, a metà corteo, si era allontanato dalla madre e io ho colto l'occasione per buttarmelo sulle spalle.

A un certo punto del corteo vediamo un tipo affacciato a un balcone con la bandiera di Che Guevara e qualcuno gli fa un applauso. Poi sotto il ponte che taglia Viale Certosa più o meno, ci siamo fermati. In alto, affacciata a una fisestra di un decimo o quindicesimo piano, c'è una ragazza con le mutande nere e una maglietta bianca. Sembra ahce ben fatta. Qualcuno le lancia un fischio, ma lei è impassibile, guarda il corteo dall'alto. Mia sorrlla me la indica sorridendo. io le dico di farle una foto, lei glie la fa ma è troppo lontana, il telefonino non ha lo zoom!

Arriviamo alla fine, durante il corteo vari interventi al microfono si sono succeduti. Il corteo non autorizzato...vine autorizzato a superare il Piazzale del Cimitero. L'idea è quella di arrivare al Campo Rom per fare un'assemblea lì. Niente, il cordone degli uomini in divisa ci sbarra la strada centeo mentri prima del Campo di Via Barzaghi. C'è un tentativo di contrattazione tra alcuni capi della Pula e alcuni dei nostri. Qualcuno dei nostri comincia a urlare "Via via la Polizia", e altri lo seguono, i capi della pula si allontanano, ma il cordone rimane lì. La motivazione ufficiale è che non abbiamo autorizzazione a entrare dento il Campo, ed è una disposizione del comune di Milano, credo in generale, non solo per il corteo o per noi. la sera prima era stata chiesta un'autorizzazione. La motivazione ufficiosa è, come diceva qualcuno la sera prima, che non autorizzando il corto si alza la tensione, il messaggio è: "voi siete irregolari, quindi vi controlliamo, in quanto pericolosi, e se succede qualcosa vi carichiamo e siamo giustificati da lfatto che non siete autorizzati. L'autorizzazione c'era ieri anche perchè c'era di mezzo la Casa della Carità e radio Popolare, che si sono messi in messo anche e soprattutto per oscurarvi, infatti i giornali parlano della partita e di italiani e Rom insieme". Come dice S., un'altra delle organizzatrici, "la giornalista de la Repubblica che conosciamo ci ha detto che domani non darà la notizia del corteo, il corteo ufficialmente non ci sarà".

Allora loro ci hanno accontentato, "fatevi sto minchia di corteo irregolare e andate a fare in culo, vi facciamo arrivare fin dove vogliamo noi e ci dovete dire grazie, se no bastonate!".

Si parla della possibilità di sfondare, di forzare il cordone, ma siamo troppo pochi, e soprattutto, faremmo il loro gioco, potrebbe essere traumatizzante per i Rom già subissati di batoste militari. Rimaniamo per circa un'ora a occupare la strada, c'è chi propone di fare l'assemblea lì, invece alcuni Rom vanno a prendere bibite e beveraggio al Campo e e ce le portano. S. dice che così per un pò occupiamola strada, poi andiamo alla Cascina torchiera a fare l'assemblea.

All'assemblea vengono fuori diversi spunti interessanti. Uno dei quali è di fare un'assemblea al Campo Rom, il 22 giugno, ripartiamo da lì.

Gli interventi si susseguono, sembra che ci sia una linea comune nel promuovere azioni dirette di autodifesa da attacchi fascisti governativi e non governativi. Un pò come hanno fatto a Rovereto che sono riusciti a fare smontare un gazebo della Lega a forza di controinformazione col megafono, contemporanea al Gazebo, e poi ci hano dato anche un colpo secco (al Gazebo) e via, via leghisti e via Gazebo dalla Piazza di Rovereto (vedi comunicato e racconti su informa-azione.info)

Ci sono anche quattro o cinque francesi venuti da Parigi per testimoniare le politiche francesi sull'immigrazione e la persecuzione dei Rom anche lì. Parlano di uno sciopero dei lavoratori irregolari che in alcune zone di Parigi hanno bloccato alcuniristoranti e centri ocmmerciali. Su questa linea si potrebbe ipotizzare un ammutinamento dei lavoratori irregolari al Mercato della frutta di Milano
Una delle proposte è quella di ammutinarsi sui mezzi pubblici dove, "per esempio sulla 67 di Torino e sulla '91 di Milano, si stanno verificando rastrellamenti e deportazioni di controllori trasformati in sbirri e sbirri trasformatiin carcerieri", come dice M. di Torino.

Noi l'ammutinamento sul treno lo facciamo, ripartiamo per Firenze senza biglietto sul treno dell 23 pieno di "pendolari" per Crotone. Poi da Bologan, alle 5 e 15, prendiamo il treno Euronait che viene da Vienna, due di noi fanno il biglietto e due no. Ci buttiamo sul corridoio di un vagone letto. Dormiamo un'ora. Il controllore fa scndere un uomo sulla cinquantina che ha pagato ma che "non può stare nel vagone letto". Noi siamo "abbassati" e non ci vede. Siamo in cinque. Due col biglietto e tre no. Io sento di essere due volte clandestino: senza bigietto e senza "autorizzazione" a viaggiare su quel vagone. Abbiamo steso anche i sacchi a pelo, io e N., F. e C. no, sono intrecciati a bell' è meglio, perchè non ci si può mettere unoa ccanto al'altro, visto che il corridoio è stretto. Si intrecciamo "testa ccu testa". A un certo punto uan signora esce dal loculo per andare in bagno. Gli lancio un'occhiata "complice", della serie: chi te lo doveva dire di viaggiare su un treno con gli "artisti" che ti dromo sotto i piedi? Poi esce un uomo, forse il marito. E già giorno. Si mettono a guardare fuori dal finestrino. E un pò guardano noi che dormiamo. a un certo punto passa una donna vestita di nero, piccolina, in inglese o in tedesco dice qualcosa a F., che non capisce e si rimette a dormire, tra il seccato e l'incompreso. Poi passa una giovane ferroviera, non ci dice niente, ci scavalca senza disturbarci, io rido e dico "Grandiosa". Durante l'assemblea, quello che parlava di Dio e delle visite al Campo Rom alle cinque di mattina di giovedì, aveva detto che il popolo Rom è la punta di un attacco a tutti noi, "voi non arrivate con gli stipendi all afine del mese, e quanto prima attaccheranno anche voi, è una guerra per tutti"

A mia sorella, prima di andarsene da Via Barzaghi e tornare a casa, le faccio un regalo: la maglietta rossa che avevo comprato qualche giorno prima a Firenze: c'è una sagoma di uomo a capo chino con cappello e valigetta e una rotella attaccata alla schiena, come un robot appunto, e accanto alla sagoma c'è scritto "STA VITA PIACE A CHI PAGA E TACE...RUBA!" La scritta e la sagoma sono azzurre.


Io volevo dire un pò di cose durante l'assemblea, ma le dirò dopo.










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sabato 3 maggio 2008

gian antonio stella bastona ida magli e fa benissimo

sull'inserto del Corrirere della sera di giovedì scorso, 1° maggio 2008, c'era una rubrica di Gian Antonio Stella che bastona quella razzista e xenofoba di Ida Magli, ben le stia, se lo merita proprio, antropologa xenofoba, sembra una contraddizione in termini, ma quello che scrive questa donna è davvero vomitevole, tempo fa sul Corriere della sera l'avevo pizzicata, sta volta sulle pagine de Il Giornale, a presto a.

giovedì 1 maggio 2008

proposta possibile imminente inammissibile

Per chi fosse interessato a ospitare una prova aperta del nuovo monologo che sto approntando, dopo la tappa di Messina, potrei fare qualche prova qua e là per la penisola, l'idea è quella di presentarlo alla libreria Calusca di Milano che ha dato disponibilità a partire da settembre, magari fare un pò di prove in modo da proporre una data entro ottobre a quelli della calusca, a presto, angelo Per chi ancora non lo sapesse, per ascoltare i brani Parlu ccu ttia, Nun sugnu pueta e decrescita democratica, basta andare qui: http://capitagna.altervista.org/, a presto, angelo

lunedì 14 aprile 2008

nun pozzu chiangiri

Nun pozzi chiangiri
ca l'occhi mia su sicchi
e lu me cori è comu u balatuni

La vita m'arriddussi
asciuttu e mazziatu
comu na carrittata di pirciali

Iu nun sugnu pueta
odiu lu rusignolu li ciali
lu vinticeddu ca accarizza l'erba
li fogli ca cadinu ccu ll'ali

Amu li furturati
li venti ca strammianu li negghi
e annettanu l'aria e lu cielu

Iu nun sugnu pueta
e mancu pisci greviu d'acqua duci
sugnu un pisci mmistinu
abbituatu a li mari funnuti

Iu nun sugnu pueta
si poesia significa
la luna a pinnuluni
ca aggiarnia li facci di li ziti

Ammia la mezzaluna mi piaci
quannu luci dintra lu
biancu di l'ucchi a lu voi

Iu nun sugnu pueta
ma siddu è puisia
affunnari li manu
ntra lu cori di l'omini
patuti e senza spranza
ma siddu è puisia sciogliri cchiacchi a lu coddu
grapiri l'occhi a cui nun vidi
dari la ntisa a li surdi
e rumpiri catini e lazzi e liami

Ma siddu è puisia
chimari ntra lu funnachi e li grutti
lo genti persi abbannunati e rutti
e dari la vuci all'antu

all'omini aggubbati supra la terra
ca suca sangu e suduri
ncangiu di pani picca e alivi salati

Ma siddu è puisia scippari ntra lu
funnu di li surfara
la carni cristiana ca squaglia e si cunsuma
cunnannata a lu 'nfernu

Ma siddu è puisia vulìri
milli centumila muccatura bianchi
p'assuppari l'occhi abbuttati di chiantu
di cu travaglia senza bbentu e sosta
e vuliri tutta la terra un gran jardinu
di pampoii e di juri
ppi arrofriscari ntra lu su caminu
li pedi nudi di li puvireddi

ma siddu è puisia
farisi milli cori e milli vrazza
ed abbrazzari mammi puvireddi
sicchi di tempu a la malipatenza
ccu li carusi mmrazza
senza latti a li minni
quattr'ossa stritti ntra li petti
bramanti d'amuri

Datimi na vuci putenti
ca pueta mi sentu
datimi un stinnardu di focu
appressu ammia li schiavi di la terra
na jumara di vuci e di canzuni
li strazzi all'aria li strazzi all'aria
assammarati di chiantu e di sangu
assammarati di chiantu e di sangu

Nun sugnu pueta, di Ignazio Buttitta

domenica 13 aprile 2008

votare mi fa schifo al cazzo show

Votare fa schifo al cazzo. A Catania come in utto il mondo democratico

Lo schifo e la madonna vanno insieme compà! Mi viene da cagare! Non devo lavorare. Non riesco a scrivere, magari ci vuole un cristo di Dio di qualcosa che mi eccita, mi sblocca, cchi ssò, un bicchirinu di vinu, ne ho bevuti già due! Cci ho nelle orecchie e nell’anima le parole e la musica di Nada Lei ballerà tra le stelle accese, e scoprirà…scoprirà…scopriràaaa…l’amore…disperato…

Che dire di altro? Cciaiu na felicità di essere uscito dal tunnel catanese, una cappa, una cappa di radical chiccume, di ragazze di venti o venticinque anni che ti dicono “Sono tornata da Pisa apposta per votare” o “Sono tornata dall’Austria apposta per votare”, ma va rumpiti u culu! Dillo chiaramente ca si malata, oppure dici che sei tornata dall’Austria o da Pisa per farti una scopata a Catania, fossi molto più romantico e liberatorio, ca diri “Sono tornata dall’Austria (o da Pisa) per farmela mettere nel culo da chi mi dice che mi vuole bene e invece la mette nel culo a me e ai miei amici e parenti e fratelli e simili e concittadini e compaesani e coitaliani!”

Oggi me l’hanno combinata all’ultimo, un qui pro quo ha fatto sì che prima di partire da Catania uno di quelli che mi doveva accompagnare doveva andare a votare e quindi mi ha inflitto l’attesa davanti al seggio ad assistere a questo massacro di coscienze rivestite di corpi inerti, svuotati di ogni forma di percezione minima della propria dignità. Poi c’è quella cosa che ti dicono: se non voti il tuo voto se lo prende la maggioranza, a parte che il manifesto ieri, in un trafiletto, ha spiegato che è una minchiata bellea e buona, ma soprattutto bisogna dire che questa è una bufala schifosa e di bassa lega per tenere a bada le coscienze e fare una sorta di terrorismo elettorale, e comunque è come dire a qualcuno: aspetta che mi servi come palla da biliardo, ti devo tirare contro un mio nemico, è chiaro che chi ti propone di usarti come palla da biliardo, o è un pazzo ( e quindi innocuo) o sta scherzando o qualcosa del genere Per quanto riguarda il voto parlamentare democratico l’assurdità si fa così beffa della dignità, che se tu rispondi “No”, quello non è che ti dice “scusa, stavo scherzando”, ma ti dice “Allora rinforzi il mio nemico”. Ma cumu minchia è? Tutto in una volta diventiamo amici? Uniti? Ma cumu minchia è? Tutto in una volta…

Vomitevole show

votare è come andare a messa, o peggio?

Votare è come andare a messa? o peggio? Eppure c'è tanta gente che non va a messa e va a votare, è come uno che non mangia carne ma mangia pesce e dice di essere vegetariano, o no? Votare è un modo di prendersi per il culo, sulle spalle anche di chi non vota, di farsel omettere nel culo e di farlo mettere nel culo a chi non vota consapevolmente, angelo

venerdì 11 aprile 2008

a me mi sconvolge la retorica Notav

A me mi sconvolge la retorica Notava come è testimoniate nel libro di recente pubblicazione di Chiara Sasso e Claudio Giorno, pubblicato da Carta/IntraMoenia, non ricordo il titolo, ma forse il sottotitolo, cioè: due anni di diario o diario di due anni. Chiara Sasso l'ho conosciuta personalmente e non ho capito subito che tipa era, l'hocapita dopo un pò di incontri. Ma l'ho capito bene bene quando ho letto le parole che lei ha scritto, riprovevoli e disgustose, che non fanno onore a nessuna persona che si reputi democratica, civile e impegnata e onesta: le parole sono riportate nel libro Le scarpe dei suicidi, e riguardano Silvano Pellissero: scrive chiara Sasso cose tipo: "E' un ragazzo a cui non si può affidare neanche il compito di andare a comprare un giornale". Meno male che ho saputo che qualcuno (forse Tobia Imperato?) è andata una volta a smerdarla, e a ricordarle che non è questo il modo di costruire relazioni degne di un movimento democratico civile e serio e onesto come si suppone sia il movimento Notav ma in generale una coscienza di una persona che si dice impegnata e "attiva" in movimenti sociali e politici che partono dal basso. Meno male che qualcuno ci pensa a smerdare gente come chiara Sasso! Antonio Strano

martedì 8 aprile 2008

solitudine da computer

E' pesante sentire il peso della solitudine da computer, buonanotte, angelo

a proposito di azioni individuali e di improbabili quanto impossibili azioni collettive

"La condizione di individui che combattono da soli può essere dolorosa e poco attraente, ma un fermo e vincolante impegno all'azione comune sembra destinato ad arrecare più danni che vantaggi. Si potrebbe scoprire che le zattere sono fatte di carta assorbente, quando la possibilità di salvarsi è già svanita" (Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza)

zibaldone di pensieri di leopardi, 12-23 luglio luglio 1820

Conseguito un piacere, l'anima non cessa di desiderare il piacere, come non cessa mai di pensare, perchè il pensiero e il desiderio del piacere sono due operazioni egualmente continue e inseparabile dalla sua esistenza (G. Leopardi, 12-23 luglio 1820)

giovedì 3 aprile 2008

sottotorchio totò

Ci ho una minchia di senso di riposo e rilassamento mancato e mancante ma comunque già è qualcosa che sta sera e sto pomeriggio mi son concesso il lusso di rimanere a casa e ho visto un film con i compagni di casa di questi giorni un film di Tarantino un pò schifosino ma l'ho visto fino alla fine e questo è tanto comunque sto mentendo nascondendo i sentimenti profondi che sono di perplessità, di fremito, di traballamento, di fragilità, di....incertezza, di precarietà/provvisorietà...Mmàh, cchi cci vo fari, Giufà?! Anton Stranger

come mi pesa e mi fa schifo carlo muratori "travestito" da Buttitta

Viene la pena e lo schifo a dover digerire certe pietre che ti arrivano di soppiatto, tipo vedere a Catania Ignazio Buttitta “rappresentato” da un unico e piuttosto inopportuno per non dire che non c’entra una minchia e al contrario ci ha scassato la minchia, il suo nome ci ha a che fare con la muratura, come il suo cervello forse, ma non è colpa sua…Eppur mi piange il cuore, ma adesso sto meglio, dopo questo breve e intenso vomito, antonio strano

lunedì 24 marzo 2008

fiorello nun vota e a ccu minchia la cunta 2

Ecolo! Eccoolà a Fiorello! In verità ci fussi di prendere la palla ar barzo e sputtanari a Fiorello e spiegari un pò parlannu picu picu chi vor dire daveru oggi come oggi votare ppi ll'elezioni elettorali! Bagascisimi e pigliatina ppi lu culu sempri uguali! Ma non solo, non solo! Il fatto è molto più grave, e dobbiamo averlo presente, quannu facimmu li paternali e nni martiddiammu li cugliuna dicinnu a noi stessi e agli altri di fari o pinsari quarcosa e di colpevolizzarci per fare o pensare qualcosa di "sovversivo", "esagerato", "radicale", "controproducente", mafiosesco. Io mi riferisco molto a quello che ho vissuto negli anni della mia formazione, c'è stato un periodo in cui pensavo che fare la spesa è come dare un voto. E andavo dietro a sti raggiunamenti ccu fare integralistoide e si facivanu li janchi tanti Beppe Grillo, Zanotelli e lu commercio equo e solidale (Ctm Altromercato e tutti sti capucciuna ccu tutto il rispetto per quelli che ci lavorano con consapevolezza e si arramanu li cugliuna per lederive prevedibili di queste organizzazioni).

Ma tutti quelli che propongono "alternative" varie ed eventuali con fare integralistoide e sospettosamente "accanito". Se uno ci pensa, ca votare è una forma di riempire le tasche a gente che ci tiene con l'acqua alla gola e col cappio al collo, pare un paradosso, una cosa strana: ma come? Chiddi si pigliano i soldi per stringere il cappio attorno al nostro collo? Certo, ci sono quelli consapevoli di questo, e prima poi smettono di votare, o comunque non martellano nè si martellano i colgioni più di tanto perchè non si nascondono nè nascondono secondi fini o cose del genere. Certo, la cosa più impressionante è che la mafia non è nulla in confronto al sistema parlamentare, e perchè ci martellano i coglioni con provenzano e compagnia bella? Forse per farci dimenticare che i veri "Provenzano" sono in Parlamento? Strapagati da quegli stessi "soggetti" che gli tengono la sedia sotto il culo e con le loro spalle e le loro frustrazioni li tengono in piedi? Cci vulissi un bellu disegnino per esprimere questa ancora non troppo chiara (a molti?) situazione e condizione. Ora, quarcuno può dire: MA se guadagnassero come un operaio normale, i "politic", avrebbe senso il voto. Io risponderei: No, perchè è il principio che non funziona, sarebbe meno pesante da sopportare sta raffica di martiddati nni li cugliuna, ma sarebbe comunque destinato ad appesantirsi la situazione, arriverebbe, prima o poi, lì dove ci troviamo adesso. Una volta ho letto di striscio un libricino sulla democrazia di Ida Magli, dove diceva che l'Italia è un esempio di quello che le altre democrazie diventeranno: le altre democrazie sono "indietro", rispetto all'Italia, siamo troppo avanti! Anzichèno! Abbrazzammuni e partimmu!

io e i miei sandali

In una serata umida piovosa e limpida io decisi in connubio con lei di togliermi i sandali e tornare alle scarpe chiuse

In una serata di aria umida piovosa e limpida (che poi si abbirsò verso le sette, cioè, dopo che fece buio, cioè smise di piovere e restò l’aria limpida e pulita dalla pioggia caduta per quasi tutto il giorno e un po’ della sera prima) io decisi in connubio con lei di togliermi i sandali e tornare alle scarpe chiuse. Certo, a me fossero (lo so che si dice sarebbe ro ma nella mia lingua si dice “fussiru”) piaciute (raccontare) le storie successe prima di arrivare a dire queste quattro parole (“tornare alle scarpe chiuse”).Ma da dove incomincio? Non lo so da dove comincio, quindi non comincio. Certo, alla base di questo racconto c’è una voglia di riscatto: chi lo doveva dire che una donna che viene dalla terra dei sandali per eccellenza, mi doveva fare pressione (e impressione?) tanto da convincermi a comprare un paio di scarpe chiuse a fine marzo, a Roma! Io che c’ero venuto in una notte bianca piovosa di settembre coi sandali neri e lucidi che mia sorella mi aveva comprato per il suo matrimonio per evitare che spuntavo con un paio di sandali controproducenti! Ma di quella notte bianca a Roma ho raccontato per filo e per segno in un racconto che si chiama Sabir e che Mauro Mì ha pubblicato sul suo sito, che quello mi pubblica tutti i racconti che gli mando, a scatola chiusa, manco se lo fa dire due volte. Ecolo!, come direbbero i ragazzi romanostiensi che frequento ultimamente e con cui coabito. Eccoli lì, Mauro Mì! Qualche minuto fa non è che me lo vedo spuntare - il suo nome, non lui in carne ed ossa - in uno di questi barlibreria vicino Piazza Vittorio, a Roma, dove paghi dodici euro un tè e un bicchirinu di vinu, ma ti mozzichi li palli ppi nunnaviriti pigliatu (compreso nel prezzo!) un libru di deci euro dove avevi trovato il racconto di Mauro Mì. Senza sapiri nnè cchì nnè ccumu. Un racconto che parla di come ci si rovina la vita per il pallone! Scritto da Mauro Mì, che scopro, leggendo il racconto, che da “piccolo” tifava Catanzaro! Bivi, Palanca…(io comunque Palanca me lo ricordo particolarmente, e anche Massimo Mauro mi ricordo!) E scopro altre cose di Mauro Mì, ma soprattutto stu racconto mi fa viniri voglia di scrivere anche a me ca avi assai can un mi dedico a questo tipo di svago. Ma pirchì Mauro Mì mi fa pinzari ai sandali? Forsi perché giorni fa, mentre giravo nel suo sito e vedevo i miei racconti pubblicati, ho trovato una sua introduzione a un racconto che comincia tipo così: “A.M. è uno che cammina coi sandali anche d’inverno…”. Ora, per farla breve, che forse mi sto incartando, volevo scrivere un racconto di uno che si innamora dei sandali e però, dopo aver attraversato valli e campi, mari e monti (ti u rricurdi di quannu cuglisti aranci a metà dicembre vicino Castelbuono di Sicilia? A pedi nudi? Pirchì li stivali di gomma ti soffocavano i piedi? E all’inizio ti pariva stranu e poi ti ci abituasti e ti pariva normale affunnari li pidi nni la terra nuda e scura di li Madonii?Ti ricordi di quannu in Val di Susa, un mese dopo la raccolta degli aranci, coi sandali e i pedi nudi passeggiavi con la neve sotto i piedi e i pedi caudi? Ti ricordi a febbraio a Enna i primi passi coi sandali e i calzettoni? CA Pino D. ti diceva “Io non mi sento di contestarti perché tra vent’anni i dduttura nni diranno ca usare i sandali d’inverno fa bene”? Ma il fatto è che i sandali e i pedi nudi, nni ricordanu chiddu ca simmu, e chiddu ca simmu, iè nenti ccu nenti, nuddu ammiscatu ccu nenti, puvirtà, miseria, cinniri…E si tu usi a pelliccia di visone in Sicilia ca u suli spacca li petri, un ti dici nuddu nenti, mmeci si usi i sandali ti talianu cumu fossitu…Nenti ammiscatu ccu nenti, e si scandanu, si scandanu di chiddu ca su, ca simmu…

Fra vint’anni poi macari ti vinu a cercanu, e tu ci cunterai di i beddi timpi! Di quannu ti mintivatu i sandali d’inverno. E di quella sera che una donna venuta dalla terra dei sandali ti convinse a “passare” alle scarpe chiuse a fine marzo, che a Roma pioveva come in quella notte bianca di settembre, e ci conterai di com’eri contento tu (contenti tutti!) ca parivatu un “milanese in vacanza”, come ti diceva la donna all’uscita del negozio dove tu ti eri accattato a dieci euri le “superga” modello storico (cioè quelle allungate e strette con la punta tipu ballerina!), un negozio pseudocinese gestito da italiani anzi romani che ci sono più commesse/vigilantes che commesse addette alla vendita…In Piazza Vittorio. E tu ora ccu ste scarpe chiuse senti ca i tuoi piedi sono diversi, ti senti più serio, più credibile, ti senti “un altro!”. Quant’è bella l’amicizia delle donne che vengono dalla terra dei sandali e ti convincono a toglierti i sandali! Ora sì che sono un uomo vero! Anche se mi manca qualcosa, un debito con me stesso: ddu minchia di libbro col racconto di Mauro Mì….Quello “compreso nel prezzo” (12 euri un bicchirinu di vinu e na caraffa di thè verde!), devo andarlo a “ritirare”, quanto è vero Ddio!

Antonio Strano