martedì 11 novembre 2008

autoriduzion italiane di cui nel post precedente

1970
Autoriduzioni italiane

Il movimento delle occupazioni delle case
e
Gli espropri (o: le autoriduzioni politiche)






Due capitoli estratti da: Le autoriduzioni, Christian Bourgois, Paris, 1976, épuisé


Il movimento delle occupazioni delle case


Se il movimento delle autoriduzioni ha potuto svilupparsi in modo cosi diffuso, é perché esiteva in Italia un movimento di lotta nelle fabbriche particolarmente forte e resistente. Ma anche perché a differenza dell'Inghilterra, dove gli operai rimangono spesso rinchiusi nell'ambito dell'impresa, au shop floor, i conflitti in Italia fuoriescono dalle fabbriche. E investono il terreno sociale grazie alla forza che hanno acquisito nelle fabbriche, riprendendo tutte le contraddizioni della società capitaliste, riportandole nelle fabbriche per rilanciare il conflitto. I consigli di fabbrica sono serviti direttamente per esempio durante le autoriduzioni au rassemblement (mettere insieme, organizzare?) le sospensioni della corrente elettrica (des quittances d'électricité?), forse intende dire le espropriazioni, cioé l'utilizzo gratutito della corrente elettrica?

Ma, prima de arrivare all'autoriduzione, i proletari hanno fatto percorso un lungo ciclo di lotte sul terreno sociale. I comitati di quartiere che hanno spinto verso l'autoriduzione si sono costruiti a partire dal 1969. La questione della casa ha permesso questa socializzazione – questa massificazione – delle lotte, come dicono gli italiani. A luglio, Nichelino, comune della periferia industriale di Torino, era stat occupata, gli operai si rifiutano di pagare gliaffitti. Un anno dopo, in Via Tibaldi a Milano, proletari se studenti occupano alcuni appartamenti liberi. Nel 1974, al riento delle vacanze, nel momento in cui iniziano le lotte per l'autoriduzione dei trasporti e dell'elettricità, decine di famiglie occupano alcuni appartamenti e case in Via delle Cacce a Torino, in uno dei ghetti dove alloggiano gli operai di Mirafiori Sud. Il movimento riuscirà a coinvolgere seicento familgie nell'occupazione. Non si era mai visto a Torino un movimento di occupazioni cosi vasto. Ma la città in cui si manifesta in modo più vasto é Roma. Anche qui le occupazioni dei case hanno provocato a scontri con la polizia tra i più violenti, particolarmente nei quartieri di San Basilio1

ROMA: UNA LUNGA TRADIZIONE DI LOTTA

Le lotte per la questione della casa risalgono a Roma all'immediato dopo guerra. Durante queste operazioni (operations, non so come tradurre, non capisco bene se si riferisce alle lotte per la casa di cui prima) ci fu un afflusso di proletarii provenienti dal Lazio meridionale e dall'Italia del sud. Erano in maggioranza « lavoratori intermittenti » (provissori, giornalieri?) destinati a bassi salari. Ma una legge fascista rimasta in vigore2 impediva agli immigrati l'accesso nel centro storico. E' qui che si sono installati delle case improvvisate, centri di ospitalità municipali, antesignani delle città dormitorio. Durante il periodo successivo, quello della « ricostruzione nazionale », é il PCI che organizza le lotte di massa, gli scioperi generali che paralizzano tutta la città. L'obiettivo é il lavoro e la costruzione di case per i lavoratori. A volte, persino i disoccupati organizzati dai militanti del Partito prendono in carico la costruzione di strade, fognature, sbarazzano les gravats (?). Questa forma di lotta é teorizzata come un esempio di « autogestione » suscettibile di formare gli « agenti sociali capaci di dirigere il lavoro e di controllarlo ». la linea politica del PCI é quindi chiara: in una città come Roma, dominata storicamente par les couches moyenne (i ceti medi?) delle amministrazioni e dal fascismo, e in assenza di una classe operaria veramente importante, bisogna puntare (miser?) sulle periferie, sui « marginali » (o emarginati?), sui lavoratori temporanei, se si vuole costruire un peso politico capace di controbilanciare la destra. Malgrado la precarietà del lavoro, e la presenza di un sottoproletariato, la periferia romana diventerà una fortezza rossa impermeabile alle infiltrazioni di destra. Realtà che si manifesterà elettoralmente ma anche attraverso duri scontri fisici durante le manifestazioni di piazza. La popolazione di questa cintura “rossa” é soprattutto costituita da operai edili, dalle rare industrie esistenti, dai disoccupati, dai piccoli artigiani cacciati nelle periferie nel periodo dello “sventramento” del centro storico. Gli scontri con la Polizia sono violenti, come testimonia lo sciopero generale del dicembre 1947 durante il quale la polizia non esita a sparare sui manifestanti, uccidendo un operaio edile disoccupato.

La mancata insurrezione in seguito all’attentato mancato di Togliatti, segretario del PCI, segna l’inizio di un riflusso progressivo che porterà ai defaits grandi fabbriche del Nord verso il 1955. Il ruolo di organizzatore del PCI va decrescendo. Gli scioperi generali contro la disoccupazione e per il miglioramento dei servizi non riescono più a paralizzare la capitale. Roma accentua durante questi anni il suo carattere di città prevalentemente terziaria (amministrazioni centrali, servizi pubblici, commercio); il settore industriale di riduce all’edilizia e a piccole fabbriche. Parallelamente, la capitale diventa un luogo di passaggio della mano d’opera che dal sud va verso il Nord, e soprattutto un polo d’immigrazione regionale ed extraregionale. L’urbanizzazione selvaggia si sviluppa; iniziano ad apparire le bidonvilles e la speculazione immobiliare fa i primi passi con successo. Nello stesso tempo che allaccia legami con chi organizza le lotte, il PCI comincia a delineare la sua strategia di una “via parlamentare verso il socialismo” (o al socialismo); comincia a porsi il problema dell’ambiente urbano e dell’organizzazione dello spazio sociale. Studia la questione della rendita fondiaria e scopre (découvre dans l’oligopole) nell’oligopolio il latifundium urbano (specialmente la Santa Sede che fa la parte del leone). Il problema della casa si trova quindi subordinato alla questione dello sviluppo urbano equilibrato, anch’esso legato a una lotta d’insieme contro la rendita fondiaria. Secondo una logica tutta riformista che separa nel processo di accumulazione rendita e profitto, pertanto connessi, la rendita é allora interpretata come il freno parassitario allo sviluppo della città, del paese, e come sola responsabile delle poches d’arriéation. Il PCI inizia allora la battaglia a livello comunale e parlamentare controla concentrazione della grande proprietà, contro i latifundia urbani considerati responsabili della penuria delle case. E’ in questo contesto che tenterà di canalizzare il movimento popolare ancora forte nelle periferie. Nel 1950-51 si realizzano le prime grandi occupazioni di case nei quartieri di Primavalle, Laurentino, Pietralata. Le Consulte popolari create in questo periodo sono organizzazioni di massa unitarie del PCI-PSI. Riuniscono diverse associazioni e comitati che si occupano della questione della casa. In una prima fase, la loro componente locale di base é prevalentemente proletaria. A livello centrale, vi si trovano piuttosto i quadri politici del PCI (consiglieri municipali, parlamentari). L’obiettivo (axe?) principale é quello di ottenere il blocco degli affitti ou davantage degli investimenti nel settore dell’edilizia pubblica. Con ben poco successo perché dal ’51 al ’55, la percentuale dell’aiuto pubblico crolla dal 25% al 12% del totale. Le Cosnulte popolari intervengono inoltre presso le autorità locali per risolvere i problemi più urgenti (evacuazione degli appartamenti pericolosi, attribuzione degli alloggi ai familiari espulsi, ecc.). Le forme delle lotte sono più spesso manifestazioni, delegazioni, petizioni che servono da sfogo ( sbocco?, il termine fr. é : de débouchés) alle occupazioni spontanee che si moltiplicano verso il 1955, data alla quale le Consulte le organizzano direttamente per la prima volta. Quasi tutte le occupazioni di quest’epoca sono dirette contro l’Istituto per la Costruzione Economica e Popolare (IACP). Gli alloggi costruiti da questo organismo pubblico, jouxtent prevalentemente i quartieri dell’epoca fascista. Principalmente i quartieri Goridinai, Tiburtino III, San Basilio, Primavalle, Tor Marancio. Queste zone popolari ospitano i proletari ammassati in condizioni sanitarie e igieniche infettive; clientelismo e corruzione vont bon train (vanno di pari passo?). E’ cosi che le iscrizioni sulle liste d’attesa per beneficiare di un alloggio dipendono totalmente dai partiti del centro e della Democrazia cristiana. Le occupazioni organizzate dalle Consulte non sono concepite come azioni di appropriazione, ma come forme di pressione sui poteri pubblici: il problema della loro difesa, dunque, non si pone. La città e la sua dirigenza amministrativa (potrebbe andare bene anche “amministrazione”?) non sono visti come nemici bensi’ come alleati contro la speculazione. Quasi sempre queste occupazioni si concludono con un intervento violento della polizia che sgombera tutti e con una manifestazione di protesta davanti il Campidoglio, dove sono richiesti (exigés) des credits per consentire ai poteri pubblici di ntervenire . A San basilio e a Pietralata pero’, capita che il rapporto di forza sia favorevole agli occupanti e che la lotta riesce. Le Consulte organizzano in questo periodo anche uno sciopero degli affitti: i termini échus non vengono pagati ai poteri pubblici per obbligarli a migliorare o a creare servizi (scuole, strade, fognature). Durante tutto questo periodo, il PCI riesce infatti a offrire uno sbocco parlamentare a queste lotte. Pertanto, nel 1956, l’esperienza del centrosinistra e la Legge Sullo contro la speculazione fondiaria échouent (falliscono). La linea del partito allora oscilla tra proposte tecnocratiche (contropoposte, critica degli organismi esistenti) e interventi populisti e demagogici sule situazioni di abuso fra le più eclatanti (criantes?) attorno alle quali fioriscono tavole rotonde e petizioni. Ma nessuna offensiva seria viene promossa per appoggiare un intervento legislativo mirante a riformare la politica urbanistica. Le Consulte cambiano progressivamente la loro natura: iniziano a riunire “tutti i cittadini” che si interessano alla questione dela casa, dei servizi, dei trasporti, dei parchi. Perdono la loro connotazione di classe. Le lotte che vanno avanti prendono una piega “civile”. Si verificano ancora blocchi di strade e di pazze, come quando le famiglie sgomberate dagli alloggi demoliti per la costruzione delle istalazioni olimpiche manifetsano nel 1958. Quialche sciopero di pagamento degli affitti come quello di Grottaperfetta (forse Grotaferrata?) nel 1964. Ma queste lotte hanno perduto la loro incisività e, a partire dal 1969, non si registrano più manifestazioni interessanti in tal senso. Nel corso degli anni ’60, parallelamente alla trasformazione dell’apparato produttivo e all’accentuazione dei flussi migratori, la penuria degli alloggi a basso costo di affitto diventa il problema principale. La manomorta del grande capitale finanziario sui terreni da costruire continua alla grande, mentre la parte degli investimenti pubblici nel settore dello IACP passa da 16,8% per tutto il paese nel 1960 a 6,5% nel 1965, e a 7% nel 1968, 5,1% nel 1969 e 3,7% nel 1970! Roma che é diventata la città cerniera tra il Sud e il triangolo industriale del Nord si espande smisuratamente. Il resto del azio si svuota disgrega, mentre la lontana perfieria sud ovest verso Latina, Pomezia Aprilia, si congestiona completamante. La costruzione privata si orienta verso le case de “standing”; l’aumento degli affitti diventa vertiginoso e accresce la speculazione a sua volta.

Con il fallimento della sua lotta contro la rendita fondiaria, la politica del PCI si ripiega sulla domanda di un riequilibrio dei poteri pubblici. Dopo il 1964-’65, il PCI non parla più di una “politica urbanistica”; la sola politica coerente é quella che viene condotta per la bonifica delle periferie (canalizzazione delle fogne e loro ricopertura ecc.). Per il resto, la lotta é abbandonata a un livello settoriale e sono gli organismi di massa interclassiste che la conducono in modo sindacale. E’ in questo periodo che si forma l’UNIA (Unione Nazionale Inquilini e Assegnatari) che da consigli giuridici ai cittadini en butte ai proprietari. Le iniziative si limitano a delle petizioni, a delle manifestazioni per fare pressione sul Comune, sullo IACP, e ottenere la resorption delle bidonvilles, cosi che l’aumento degli alloggi popolari.

1969-75: UN NUOVO CICLO DI LOTTE URBANE

Nel 1969 iniziano a manifestarsi alcune tensioni accumulate negli anni precedenti. A Roma, 70 000 proletari relegati nei ghetti e in condizioni catastrofiche, si trovano di fronte a un panorama che presenta edifici abitativi con 40 000 appartamenti vuoti che non trovano acquirenti o affittuari perché troppo cari. L'Associazione degli imprenditori dell'edilizia romana riconosce che si tratta ormai di una “fetta di mano d'opera indispensabile”. Il clima politico generale creato dalle lotte operaie e studentesche esercita una grande influenza nello scatenamento di un nuovo tipo di azioni: non si tratta più di un'occupazione simbolica che cerve da mezzo di espressione supplementare nell'ottica di una negoziazione al vertice. Quest'ultima viene rifiutata e le occupazioni prendono la forma di espropri violenti che traducono confusamente la volontà dei proletari di riprendere i beni necessari a soddisfare i loro bisogni. Queste lotte hanno come conseguenza quella di demystifier (demistificare) lo Stato che era presente come “mediatore” nella prestazione e garanzia dei servizi per tutti i cittadini. Esse puntano il dito sulla natura classista dello Stato e dell'amministrazione comunale, e concretizzano un'estensione diretta della lotta della fabbrica verso la società. Questa volontà esplicitata di s'emparer (impossessarsi?) delle case senza aspettare il beneplacito dei padroni, né gli investimenti che seguono i dettami (les avatars?) del profitto, segna una “socializzazione” della lotta, cioé una difesa e un recupero del salario reale. Manca, certamente, a questo prime occupazioni di un nuovo tipo una partecipazione diretta degli operai della fabbrica in quanto tali. Pertanto, esse apporteranno un altro elemento, che le lotte operaie ancora non hanno: quello di un'organizzazione autonoma della lotta. Le occupazioni spontanee raduneranno un gruppo di militanti del PCI, del PSIUP (equivalente allora del PSU) e dei cattolici di sinistra che formeranno la prima forma di sostegno organizzato di queste lotte. Dopo l'intervento della polizia e l'evacuazione degli appartamenti, 120 altri alloggi vicini vengono occupati immediatamente nel quartiere Celio. Si arriva alla cifra di 400 nei giorni seguenti. Per scelta deliberata, gli appartamenti appartengono tutti ai poteri pubblici, ma sono abbandonati e liberi da chissà quanto tempo. Questa soluzione offre in effetti migliori possibilità di successo e mette i bastoni fra le ruote alle operazioni dello IACP intraprese con la complicità tacita dei rappresentanti sindacali che siedono al suo interno.

Nessun commento: