martedì 5 luglio 2011

alla maddalena, col nonno magico della valsusa

Il nonno magico nei boschi della Val di Susa, 3 luglio 2011, da Giaglione alla Maddalena, mattino in fiore nel bosco e lacrimogeni e feriti
Oggi, oggi è un giorno di festa, è inutile uscire, cantano i diaframma con la voce di Federico Fiumani. Ecco, ieri, per chi era in Val di Susa per assediare la Maddalena, era un giorno di festa (santificato non solo dalla Maddalena!) ed era utile uscire! Cioè andarci ed esserci. Io non volevo andare. Avevo paura. Paura delle parole di chi mi diceva di portare mascherine, occhialini, scarponi (io porto i sandali anche di inverno!), acqua, limoni contro i lacrimogeni! Però poi sono partito, anche se potevo avere la scusa che oggi ho un aereo per Catania, da Milano! E se rimanevo bloccato lì? In realtà volevo rimanere bloccato lì, fra i boschi magari a fare un bagno nel torrentello che c’è tra Giaglione e la Maddalena. Ma già anni fa ero rimasto “bloccato” qualche mese in Val di Susa, e mi era bastato. Ma ieri è stato un “oltre”, un’altra Val di Susa. Sì, la paura c’è sempre, ogni volte che uno si deve mettere in gioco fino in fondo! Un’altra Val di Susa perché? Perché per la prima volta sono entrato nel bosco, dove si possono incontrare essere misteriosi e magici! Per esempio l’uomo saggio valsusino, coi baffetti bianchi, il nonno che ognuno di noi sogna? E che dice il nonno che ognuno di noi sogna? Per esempio, come nella canzone Il vecchio e il bambino di Guccini, racconta, di quando, a Monpantero, cinque e più anni fa, come oggi alla Maddalena, c’erano tanti uomini con le divise e le armi che chiedevano i documenti agli abitanti di Monpantero, quindi anche a lui. Per giorni e giorni, anche un mese durò quella “militarizzazione”. Ma poi, dice il vecchio, guardando lontano, ci siamo rotti i coglioni di quegli sbirri che dormivano lì nelle loro camionette vampirizzate! (volevo scrivere vampirizzate ma il computer mi dà vampirizzate! Anche il computer lo sa!?). E una notte, racconta il vecchio, abbiamo messo la benzina sotto le camionette vampirizzate e…hanno preso fuoco. E loro? Chiedo io, io bambino bambetto. “I giornali non ne hanno parlato?”. “Loro hanno dato un’altra versione: incendio per corto circuito!”.

E poi il vecchio ci accompagna per un sentiero più “alto” di quello in cui siamo tutti imbottigliati. Siamo partiti da Giaglione e abbiamo imboccato un sentiero stretto che in basso non puoi andare perché c’è il bosco che scende ripidamente. Siamo un po’ stretti, saremmo in tre mila? Come dicono oggi certi giornali? E in tre mila in un sentiero….Meglio prendere un altro sentiero con il nonno magico. Siamo in pochi a seguirlo, ma dopo un po’ ci ingrossiamo. C’è anche Turi con noi, mezzo nudo e con i fiori in bocca e in mano. Io e N., che camminiamo insieme e ci conosciamo dai tempi della marcia notav da Venaus a Roma del 2006, sorridiamo e chiacchieriamo con Turi. Turi ha il naso arrossato anche per i maltrattamenti subiti dai poliziotti che l’hanno bloccato dieci giorni fa quando si era buttato lungo l’autostrada per bloccare la ruspa mangia montagna. Turi tiene in mano un mazzetto di fiori di iperico, e io indovino subito perché un po’ di anni fa avevo imparato a raccoglierli e a fare l’olio di iperico. E poi ha un petalo di un fiore rosso e se lo strofina sul naso. Io lo annuso e dico che è papavero, e Turi dice no con la testa. N. non lo annusa e dice che è rosa canina. E Turi dice che ha indovinato. Turi non parla perché fa lo sciopero della parola, ma ogni tanto parla, infatti dopo un po’ scende lungo il sentiero applaudito proclamando che le erbe di san Giovanni ci aiuteranno a vincere la nostra battaglia. E’, forse, un po’ troppo “simpatico”.

Il vecchio di prima mi ricorda un altro vecchio valsusino di cui mi hanno raccontato. Che proponeva, per sabotare i tralicci dell’Alta Tensione, non formule esplosive, ma solo una chiave inglese per smontare i bulloni che reggono la base dei piloni! Saggezza di vecchio operaio Enel! E, forse, di vecchio e basta!

Dopo un po’ incontriamo un mini corteo con la mini banda musicale locale. N. che è di queste parti dice che è un rito, il rito degli spadonari, che ricorda un’insurrezione antifeudale medievale. Infatti ci sono le donne in costume e due ragazzi che portano in processione un oggetto rituale: rami di albero e un pane alla base: pagano, molto pagano! E i bandisti ci dicono “ci vediamo dopo”.

Per andare al cuore perché ho poco tempo, dopo un po’ ci fermiamo per riposare. Ma intanto abbiamo ripreso il sentiero con tutti gli altri. Vedo un uomo che mi sembra Marco Ferrando. Glielo chiedo e lui me lo conferma. Gli chiedo come mai i giornali non parlano molto di lui e del suo partito, pur essendo loro qui tra noi, e parlano del SEL di Vendola che fa dire a una sua portavoce cose del tipo “Proponiamo di spostare i soldi per la TAV al potenziamento della linea già esistente”. Però poi alla domanda della giornalista la portavoce e deputata del SEL (l’altro ieri su Repubblica credo) diceva che vogliono fare da ponte tra il governo e i notav, la giornalista diceva che era un atteggiamento cerchiobottista….Marco Ferrando mi diceva che Vendola sta facendo il gioco di Bertinotti ma ancora di più: Bertinotti voleva entrare nel Governo, Vendola vuole diventare il capo della sinistra e poi del Governo! E sta lavorando bene! Che detta così può sembrare “positivo”, ma per i più lucidi, e ovviamente per Ferrando, è una linea di una viscidità e di una perversione da campioni del doppiogiochismo!

Ma andiamo avanti nel bosco. Il vecchio e il bambino, si preser per mano, e andarono insieme, incontro alla sera…E nel bosco ci sono anche gli esseri…i folletti? Sì, i folletti neri, con la testa fasciata di nero e anche la faccia a volte e…mi sembra che siano eroici perché cco sto caldo! Ovviamente hanno anche le mascherine! E gli occhialini! Quelli che io non ho portato anche se consigliavano di portarli. Infatti M. e D., con i quali sono arrivato, hanno portato qualche mascherina in più di me! E qualche panino. Ma io niente, parassita filososo maledetto! Ho dimenticato anche l’acqua e anche il cappellino, ma quello volutamente. L’acqua l’ha dimenticata anche D., proprio come me: borracce tattiche pronte piene di acqua e dimenticate sul tavolo della cucina!
Ma per questo non c’è problema. Il bosco ci protegge con le ombre degli alberi lungo il sentiero. E’ bello, proprio come ai tempi della canzone: Siamo i ribelli della montagna, viviam di stenti e di patimenti (potenzialmente, senz’acqua e cappellino, non fosse stato per il bosco protettivo, sarebbero stati stenti e patimenti per davvero!). Ma invece oltre al bosco c’è la vicinanza, la prossimità, e l’acqua te la danno i vicini. Io per esempio la chiedo a una ragazza che incontro durante il cammino, durante una sosta. C’è prossimità e vicinanza a tal punto che quando gli esseri neri passano tra noi, quelli di cui tanti hanno paura, nessuno esprime preoccupazione né sentimenti preoccupanti. Solo una ragazza dice qualcosa e uno di loro dice: “Ma guarda questa pompierina borghese”, lei cerca di difendersi e lui dice “A noi ci hanno invitati i valsusini”. Lei dice qualcosa e lui risponde con tono un po’ irritato “Quindi noi saremmo gli infiltrati?”, e poi continua a camminare con gli altri. Dopo un po’ arriviamo vicino a un torrente, un fiumiciattolo, il Clarea, o Dora? Credo il Clarea, perché sui giornali dell’indomani ho letto che il “bosco della paura” si chiamava bosco di Clarea. Ma paura di chi? Perché? Dopo essere scesi verso il fiume, io e altri pochi “scivolando” per accorciare, tanti altri lungo il sentiero lungo, arriviamo al fiume. La voce dell’altoparlante, che viene da una faccia di un uomo che somiglia al Gesù di Zeffirelli, dice che non dobbiamo attraversare il fiume bensì costeggiarlo. Attraversarlo sarebbe stato più rinfrescante, ma anche costeggiarlo ci fa godere della frescura. Dopo il fiume arriviamo finalmente alla barricada di pietre antiche e c’è un buco e passiamo. Attraversiamo un ponticello e ci ritroviamo nel bosco della paura, come dicevano i giornali dell’indomani. C’è una baita e c’è una casa sull’albero. E’ la baita che una settimana prima i poliziotti avevano sgomberato e inseguito gli abitanti nei boschi e sparato lacrimogeni. Ma ora i poliziotti, che da quanto ho capito erano qui fino a poche ore fa, sono andati via per andare a difendere il terreno dove vogliono cominciare i lavori per distruggere la montagna, spendere tanti soldi, cioè far dare tanti soldi a chi dovrebbe sfondare la montagna, per costruire una galleria per far passare un treno che già c’è! C’è già una linea di treni che usano poco, molto poco, tanto che c’è chi dice che si potrebbe migliorare quella che già c’è e vedere se aumenta il traffico delle merci, ma il traffico diminuisce, e tanto, negli ultimi anni.

Allora arriviamo nel bosco. Ma non c’è paura, almeno all’inizio, ci sono donne, bambini, di tutte le età, amici che ho incontrato in tante parti d’Italia, ci sediamo un po’ per riposare sotto l’albero dove c’è la casa. Sotto l’albero c’è un tavolo di legno lungo come quello dei sette nani. Poi c’è la baita. E la voce del megafono dice che chi vuole si può riposare e chi vuole può proseguire lungo il sentiero che sale verso il terreno dove ci sono i poliziotti dietro la rete. E chi vuole può fare pressione contro la rete. Qualcuno inizia a salire. Io e altri rimaniamo a riposare e a mangiucchiare. M. e D. salgono sopra. D. sembra propriio una blak blokka! Quasi tutta nera, quasi mi fa paura e quasi me ne scappo! Poi vedo tanti altri amici con le mascherine e i fazzoletti in testa e davanti alla bocca e sembrano anche loro un po’ blecchi blocchi e mi faccio contento perché allora vuol dire che tutti possiamo essere blecchi blocchi! Anzi, io e altri senza mascherine né niente ci diciamo che siano un po’ spreparati. M. va su con D. ma lui non ha niente, solo una mascherina che gli prestano quando arriva là sopra vicino alla rete. Io provo a salire ma mi dicono che è meglio di no senza mascherina. Infatti dicono che sparano lacrimogeni come se piovesse. E se non hai mascherina, limone e maalox meglio che non vai. Il limone ce l’abbiamo, cioè ce l’ha D. che gliel’ha dato N. E il malox è liquefatto nelle bottiglie d’acqua infatti ogni tanto qualcuno di quelli che va su ritorna da noi, si toglie la mascherina, si sciacqua la bocca con l’acqua con dentro il maalox, purtroppo cominciano ad arrivare le prime voci che dicono “Un medicooo”, e arrivano i primi nostri amici o potenziali amici trasportati a spalla o presi in braccio perché feriti dai lacromogeni o dalle palle di gomma che i poliziotti sparano quando finiscono i lacrimogeni. Uno con una ricetrasmittente che ogni tanto comunica qualcosa a qualcuno dice che “prima o poi finiranno i lacromogeni, non ne hanno molti, lo sappiamo, e quando li finiscono ce li mangiamo”. Una donna piange di rabbia, dice “Sono incazzata nera”. La voce del megafono dice che a Ramat stanno facendo pressioni, chi vuole andare va, qui possiamo rimanere a riposare chi vuole, e qualcuno a portare acqua su”. Arrivano altri feriti, sembra un fronte di guerra. La voce del megafono ci rassicura dicendo che abbiamo conquistatola Baita, che molti fanno pressioni alle reti, i poliziotti tirano lacrimogeni e qualcuno si sta facendo male”. Poi aggiunge che i lacrimogeni hanno incendiato una parte delle vigne vicine e i Notav hanno spento il fuoco”. E giù applausi. Siamo dentro a un bosco, io penso che se dovessero arrivare i poliziotti saremmo fritti, perché dovremmo scappare da un sentiero solo o in mezzo a i boschi. E sarebbe un problema, forse soprattutto per quelli con i sandali? Ma no, no, la voce del megafono ci rassicura. E attorno al tavolo, io e altri che siamo arrivati insieme a M., stiamo seduti ad aspettare gli eventi, respiriamo la tensione (non i lacrimogeni che sono lontani), ogni tanto qualcuno dice che quello dell’altoparlante potrebbe esortare di più verso le reti. Uno che scende dalle reti e poi ci torna dice che chi è indeciso potrebbe andare alle reti per dar man forte. Attorno al tavolo davanti a noi ci sono due uomini che mangiucchiano salame delle valli, formaggio delle valli e pasta di meliga. Ci offrono pasta di meliga. Poi salame e formaggio e vino. Chiacchieriamo un po’ e si sente questo clima di comunità in festa e in resistenza che sappiamo che non esiste più e forse non è mai esistita ma ci piacer credere che ci sia e qui un po’ si respira tutte queste donne e uomini nati tra il 1920 e il 1990 o anche 2000, e tutti questi colori…anche il colore del sangue delle ferite, la tensione che sale, il megafono rassicura, siamo in tanti, è commovente. A un certo punto qualcuno sale da sotto correndo e urlando “Via via stanno arrivando”, io mi precipito verso il tavolo per prendere il mio zaino perché mi ero spostato verso la baita e stavo salutando M. che non vedevo da circa un anno o forse più. Ma fortunatamente è un falso allarme. Ma a me mi resta un po’ di adrenalina e di ansietta. La smaltisco camminando per il bosco popolato dagli elfi venuti da ogni parte di Italia. C’è una ragazza che riconosco che avevo visto due mesi fa a Bologna perché era tra le pochissime che era venuta a vedere un mio monologo, e l’unica che aveva comprato a offerta libera un mio libricino dal titolo Lettera per un natale illegale. Lei mi riconosce e mi ricorda il contesto. Poi c’è D. che dopo un po’ di incursioni alla rete adesso si è distesa e dorme all’ombra dei faggi o querce o alberi di cui non conosco il nome. M. non è ancora tornato. Spero non sia tra quelli feriti. Cominciano a essere in tanti. Sappiamo che l’indomani i giornali diranno che i feriti gravi e tanti sono stati i poliziotti. Ovviamente avranno pochi e invisibili graffi che spacceranno per ferite gravi. Ma nessuno si sarebbe aspettato che avrebbero detto 200 poliziotti feriti. E neanche che Napolitano avrebbe detto le balle spaziali oltre che offensive. Poi Valentino Parlato gli ha scritto una lettera sul Manifesto di martedì 5 luglio, in cui lo invita a venire in Valle a vedere e a capire, con “senso di giustizia”. La tensione continua, i feriti continuano ad arrivare, ne vedo circa una decina, aiuto uno di loro a camminare verso la macchina. Ma questo alla fine, al campo di calcio dove torniamo tutti. E’ finita questa giornata. E’ iniziata un’altra storia di lotta, struggente e rigenerante, senza illusioni né ingenuità. Ci sarebbero note a margine da fare, riflessioni, considerazioni, ma per ora lasciamo la parola al tramonto che ci salutava quando siamo partiti, alle nove della sera. E all’elicottero che ci sta sulle palle e sulla testa. M. è tornato dal fronte. Non ha niente se non una mascherina che gli hanno prestato. E capisco che sarei potuto andare anch’io, ma lui in più aveva gli scarponi da montagna. I sandali mi giustificano? Tra Giaglione ed Exilles ci siamo messi a camminare per andare incontro alla macchina che ci veniva a prendere per andare verso Ovest. Ci siamo fermati a una curva dove c’erano altri ragazzi che aspettavano un autobus. Avevano una bandiera rossa e blu. Ho chiesto se era del Catania o del Bologna. Loro hanno detto che era di Senigallia. L’Italia si muove anche per difendere una valle, e non solo per andare in discoteca o allo stadio o al mare. Mi rimane la voglia di bagnarmi nel fiume. Prima, quando abbiamo fatto la strada a ritroso, due ragazze si erano fermate sopra i sassi lungo il fiume. Si erano tolte le scarpe. Qualcuno di noi aveva detto “Veniamo anche noi ma abbiamo fretta”. In realtà poi avevamo aspettato più di un’ora nel prato. Un altro motivo per tornare alla Maddalena!

1 commento:

paola ha detto...

bravo, bella cronaca.